Lo smart working nella pubblica amministrazione sta attraversato rapide evoluzioni negli ultimi anni, passando da una pratica quasi sconosciuta prima della pandemia a una necessità durante il Covid-19, per poi stabilizzarsi come parte integrante del lavoro pubblico
25 OTTOBRE 2024
Lo smart working nella pubblica amministrazione sta attraversato rapide evoluzioni negli ultimi anni, passando da una pratica quasi sconosciuta prima della pandemia a una necessità durante il Covid-19, per poi stabilizzarsi come parte integrante del lavoro pubblico. Tuttavia, emerge una chiara disuguaglianza tra i dipendenti a seconda delle dimensioni e della posizione geografica dell'ente. Mentre le grandi amministrazioni centrali e del Nord hanno maggiori possibilità di implementare forme di lavoro agile, i piccoli comuni, soprattutto nel Sud, restano indietro.
Il lavoro a distanza si declina in due modalità: lo smart working vero e proprio, che si basa sui risultati, e il telelavoro, che mantiene vincoli più rigidi simili a quelli del lavoro in presenza. Purtroppo, quest'ultimo è ancora prevalente a causa della difficoltà di molti enti di definire obiettivi misurabili.
I dati del Cnel indicano che oltre il 90% delle grandi amministrazioni pubbliche hanno implementato lo smart working, con percentuali molto più basse nei piccoli comuni, specialmente quelli del Sud. Anche quando lo smart working è previsto, la mancanza di risorse tecnologiche adeguate ne limita l’effettivo utilizzo.
Il ministro per la Pubblica amministrazione Paolo Zangrillo ha ereditato una situazione in cui lo smart working è ormai una necessità strutturale. Pur riconoscendone i vantaggi, il cammino verso un'adozione pienamente efficiente e realmente "smart" del lavoro a distanza sembra ancora lungo.