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La Corte di Cassazione sulle anomalie nella gestione del rapporto di lavoro

Si deve dare corso alla erogazione della differenza di trattamento economico nel caso di svolgimento in via di fatto di mansioni superiori. Lo stesso principio deve essere applicato nel caso di utilizzazione in modo improprio del lavoratore socialmente utile. Le amministrazioni devono irrogare le sanzioni disciplinari nel caso in cui i permessi, ivi compresi quelli previsti dalla legge n. 104/1992 per l’assistenza ai congiunti gravemente disabili, siano stati utilizzati in modo improprio. Sono queste le nette indicazioni dettate dalla più recente giurisprudenza della Corte di Cassazione nel caso di anomalie che si registrano nella gestione del rapporto di lavoro da parte delle pubbliche amministrazioni.
 

8 LUGLIO 2024

Dell'Erba C. - 4/7/2024
 
 
Si deve dare corso alla erogazione della differenza di trattamento economico nel caso di svolgimento in via di fatto di mansioni superiori. Lo stesso principio deve essere applicato nel caso di utilizzazione in modo improprio del lavoratore socialmente utile. Le amministrazioni devono irrogare le sanzioni disciplinari nel caso in cui i permessi, ivi compresi quelli previsti dalla legge n. 104/1992 per l’assistenza ai congiunti gravemente disabili, siano stati utilizzati in modo improprio. Sono queste le nette indicazioni dettate dalla più recente giurisprudenza della Corte di Cassazione nel caso di anomalie che si registrano nella gestione del rapporto di lavoro da parte delle pubbliche amministrazioni.
 

Lo svolgimento in via di fatto di mansioni superiori


Le amministrazioni pubbliche devono remunerare lo svolgimento in via di fatto di mansioni superiori, anche in assenza della loro assegnazione in modo formale da parte del dirigente. E’ questo il principio dettato dalla sentenza della sezione lavoro della Corte di Cassazione n. 14293/2024.
Leggiamo che “il diritto al compenso per lo svolgimento di fatto di mansioni superiori, da riconoscere nella misura indicata nell'art. 52, comma 5, del d.lgs. n. 165 del 2001, non è condizionato alla sussistenza dei presupposti di legittimità di assegnazione delle mansioni, posto che una diversa interpretazione sarebbe contraria all'intento del legislatore di assicurare comunque al lavoratore una retribuzione proporzionata alla qualità del lavoro prestato, in ossequio al principio di cui all’articolo 36 della Costituzione, sicché il diritto va escluso solo qualora l'espletamento sia avvenuto all'insaputa o contro la volontà dell'ente, oppure quando sia il frutto di una fraudolenta collusione tra dipendente e dirigente, o in ipotesi in cui si riscontri una situazione di illiceità per contrasto con norme fondamentali o generali o con principi basilari pubblicistici dell'ordinamento; si e dunque affermato che tali principi operano anche in relazione allo svolgimento di fatto di funzioni dirigenziali a condizione che il dipendente dimostri di averle svolte con le caratteristiche richieste dalla legge, ovvero con l'attribuzione in modo prevalente sotto il profilo qualitativo, quantitativo e temporale, dei compiti propri di tali mansioni. Si è inoltre precisato che a tal fine è innanzitutto necessario che l'ente abbia provveduto ad istituire la posizione dirigenziale, perché, sulla base delle previsioni del d.lgs n. 165/2001, la valutazione sulla rilevanza degli uffici, sulle risorse umane e finanziarie da assegnare agli stessi e in genere sull'organizzazione è rimessa al potere discrezionale della P.A. che non può essere sindacato nel merito in sede giudiziale”. Come si vede, prevale il giudizio di fatto rispetto al dato formale: una conclusione che è pienamente coerente con la privatizzazione del rapporto di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni.
 
L'utilizzo dei lavoratori socialmente utili come dipendenti
I lavoratori socialmente utili che sono stati utilizzato dall’ente in modo improprio rispetto al progetto in cui sono inseriti hanno diritto al riconoscimento della differenza di trattamento economico che sia maturata in relazione alla utilizzazione come lavoratore dipendente nel profilo effettivamente svolto. I termini per la prescrizione decorrono dalla data in cui i crediti sono maturati, come per i dipendenti pubblici ed a differenza di quanto previsto per i dipendenti delle aziende private. Sono questi i principi fissati dalla sentenza della sezione lavoro della Corte di Cassazione n. 11628/2024.
In primo luogo ci viene detto che “l'occupazione temporanea in lavori socialmente utili non integra un rapporto di lavoro subordinato - in quanto, ai sensi dell'art. 8, d.lgs., n. 468/1997, poi riprodotto dall'art. 4, d.lgs. n. 81/2000, l'utilizzazione di tali lavoratori non determina l'instaurazione di un rapporto di lavoro, ma realizza un rapporto speciale che coinvolge più soggetti (oltre al lavoratore, l'amministrazione pubblica beneficiaria della prestazione e l'ente previdenziale erogatore della prestazione di integrazione salariale) di matrice assistenziale e con una finalità formativa diretta alla riqualificazione del personale per una possibile ricollocazione - ma, dall'altro lato, ha precisato che questa qualificazione non esclude che in concreto il rapporto possa atteggiarsi diversamente e configurare un vero e proprio lavoro subordinato, con conseguente applicazione dell'art. 2126 c.c., essendo unicamente necessario, a tal fine, che risultino provati, oltre alla difformità rispetto al progetto, l'effettivo inserimento nell'organizzazione pubblicistica dell'ente e l'adibizione ad un servizio rientrante nei fini istituzionali dell'amministrazione, ossia l'instaurazione in via di mero fatto di un rapporto di impiego.. Se è vero, quindi, che l'occupazione temporanea in lavori socialmente utili non integra un rapporto di lavoro subordinato, nondimeno a rilevare nella specie è l'accertamento del concreto atteggiarsi del rapporto come rapporto di natura subordinata, dal che consegue che, precluso in ogni caso dall'art. 36 del d.lgs. n. 165/2001 l'instaurarsi di un valido rapporto a tempo indeterminato, opera  il disposto di cui all'art. 2126 c.c. per il periodo temporale nel quale siano state effettivamente rese le prestazioni lavorative”. Ancora una volta prevale per la Corte di Cassazione la condizione di fatto.
La sentenza si occupa infine della maturazione dei termini di prescrizione: “la prescrizione dei crediti retributivi dei lavoratori nel pubblico impiego contrattualizzato - sia nei rapporti a tempo indeterminato, sia in quelli a tempo determinato, e anche in caso successione di contratti a termine - decorre, per i crediti che nascono nel corso del rapporto lavorativo, dal giorno della loro insorgenza e, per quelli che maturano alla cessazione, a partire da tale data, sia perché non è configurabile un metus del cittadino verso la pubblica amministrazione sia perché, nei rapporti a tempo determinato, il mancato rinnovo del contratto integra un'apprensione che costituisce una mera aspettativa di fatto, non giustiziabile per la sua irrilevanza giuridica.. da ciò deriva la piena decorrenza della prescrizione anche in costanza di rapporto, non essendo ravvisabile alcuna aspettativa del lavoratore alla stabilità dell'impiego e quindi l'assenza di un metus in ordine alla mancata continuazione del rapporto”.
 

La fruizione impropria dei permessi della legge n. 104/1992


Sono da considerare come pienamente legittime sanzioni disciplinari, ivi compreso il licenziamento nei casi più gravi, che vengono irrogate ai dipendenti per la fruizione in modo improprio dei permessi di cui alla legge n. 104/1992 per l’assistenza ai propri congiunti diversamente abili in modo molto grave. E’ questo il principio contenuto nella sentenza della sezione lavoro della Corte di Cassazione n. 12679/2024. Ricordiamo che il fenomeno dell’abuso nella utilizzazione di questo tipo di permessi sembra essere un fenomeno assai frequente. Gli stessi principi devono essere applicati anche con riferimento agli abusi nella utilizzazione di tutti i permessi. Una previsione in questa direzione è contenuta peraltro in modo espresso nel codice di comportamento dei dipendenti pubblici.
In primo luogo ci viene detto che “per pacifica giurisprudenza di questa Corte può costituire giusta causa di licenziamento l'utilizzo, da parte del lavoratore che fruisca di permessi ex legge n. 104/1992, in attività diverse dall'assistenza al familiare disabile, con violazione della finalità per la quale il beneficio è concesso .. il beneficio comporta un sacrificio organizzativo per il datore di lavoro, giustificabile solo in presenza di esigenze riconosciute dal legislatore (e dalla coscienza sociale) come meritevoli di superiore tutela. Ove il nesso causale tra assenza dal lavoro ed assistenza al disabile manchi del tutto non può riconoscersi un uso del diritto coerente con la sua funzione e dunque si è in presenza di un uso improprio ovvero di un abuso del diritto, oppure, secondo concorrente o distinta prospettiva, di una grave violazione dei doveri di correttezza e buona fede sia nei confronti del datore di lavoro (che sopporta modifiche organizzative per esigenze di ordine generale) che dell'ente assicurativo (anche ove non si volesse seguire la figura dell'abuso di diritto che comunque è stata integrata tra i principi della Carta dei diritti dell'unione Europea”. 
 
Una ulteriore ed assai importante indicazione contenuta nella sentenza è la seguente: “l'assistenza che legittima il beneficio in favore del lavoratore, pur non potendo intendersi esclusiva al punto da impedire a chi la offre di dedicare spazi temporali adeguati alle personali esigenze di vita, deve comunque garantire al familiare disabile in situazione di gravità .. un intervento assistenziale di carattere permanente, continuativo e globale nella sfera individuale e di relazione; pertanto, ove venga a mancare del tutto il nesso causale tra assenza dal lavoro ed assistenza al disabile, si è in presenza di un uso improprio o di un abuso del diritto ovvero di una grave violazione dei doveri di correttezza e buona fede sia nei confronti del datore di lavoro che dell'ente assicurativo”.