14 FEBBRAIO 2024
Approfondimento di Vincenzo e Alessandra Giannotti
In presenza di una responsabilità disciplinare il recesso del dirigente, anche a termine, non richiede alcun parere preventivo e obbligatorio al comitato dei garanti, a differenza dell’accertamento della responsabilità dirigenziale. Pertanto la Cassazione (sentenza n. 2872/2024) ha accertato che la legittimità del recesso del dirigente, per aver creato una situazione di incompatibilità ambientale e per avere svolto l’incarico di amministratore unico di una società, rientrassero nel novero delle responsabilità disciplinari e non dirigenziali.
La Cassazione, in prima battuta, ha rinviato alla Corte di appello la causa riguardante la responsabilità disciplinare e non dirigenziale del recesso dell’ente dal rapporto di lavoro a tempo determinato con un proprio dirigente, nell’assunto che nessun parere preventivo e obbligatorio del Comitato dei Garanti avrebbe dovuto essere richiesto. I giudici di appello del rinvio, hanno accertato che nel caso di specie il recesso dal rapporto di lavoro doveva essere considerato legittimo per aver il dirigente a termine creato una situazione di incompatibilità ambientale e per avere assunto la carica di amministratore in una società, nonostante il divieto importo dalla normativa sulle incompatibilità del dipendente pubblico, violando in tal modo il dirigente il vincolo di esclusività del rapporto di lavoro. Le citate violazioni nei confronti del dirigente, non attenevano al raggiungimento degli obiettivi della dirigenza, bensì alla correttezza dell’adempimento nella prestazione.
Avverso la sentenza della Corte di appello, il dirigente estromesso ha presentato ricorso in Cassazione sostenendo che i giudici di appello del rinvio non si sarebbero attenuti alla sentenza rescindente, avendo precisato nella sentenza che non rientrasse nel loro sindacato disquisire sulla natura della responsabilità imputata al ricorrente, né sull’attività o meno del parere del Comitato dei garanti. In altri termini, la Cassazione nella sentenza di rinvio aveva affermato che la Corte d’Appello non avrebbe accertato la natura della responsabilità imputata al lavoratore.
Per la Cassazione il ricorso del dirigente è infondato. Infatti, se è vero che i giudici di appello di rinvio hanno statuito che non era possibile «ulteriormente valutare se gli addebiti contestati costituivano ipotesi di responsabilità dirigenziale o se l’indissolubile intreccio tra la responsabilità dirigenziale e la responsabilità disciplinare fosse tale da richiedere l’intervento del comitato dei garanti», hanno tuttavia rilevato che l’ente ha contestato due addebiti al lavoratore, consistenti nell’avere creato una situazione di incompatibilità ambientale e nell’aver assunto l’incarico di amministratore unico di società, in violazione del vincolo di esclusività del rapporto di lavoro. In altri termini, la Corte di appello ha, quindi, espressamente concluso che l’addebito mosso al ricorrente non atteneva al raggiungimento degli obiettivi dirigenziali bensì alla correttezza dell’adempimento della prestazione. Pertanto, la Corte di appello ha in ogni caso accertato la natura dell’addebito contestato al ricorrente, come demandato dalla sentenza rescissoria, riconducendola all’ambito disciplinare ed escludendo che fosse riferibile agli obiettivi aziendali.