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l sollecito al godimento delle ferie spetta al datore di lavoro e non al dipendente

Le disposizioni contrattuali e quelle legislative non scalfiscono il principio dell’obbligo di utilizzo delle ferie al dipendente pubblico, spettando al solo datore di lavoro pubblico offrire la prova, non solo di avere invitato il lavoratore a godere delle ferie, ma che in caso di mancata fruizione, tali ferie andranno perse al termine del periodo di riferimento o in caso di riporto autorizzato

 
 

12 OTTOBRE 2022

Approfondimento di Vincenzo Giannotti

Le disposizioni contrattuali e quelle legislative non scalfiscono il principio dell’obbligo di utilizzo delle ferie al dipendente pubblico, spettando al solo datore di lavoro pubblico offrire la prova, non solo di avere invitato il lavoratore a godere delle ferie, ma che in caso di mancata fruizione, tali ferie andranno perse al termine del periodo di riferimento o in caso di riporto autorizzato. Sono questi i principi confermati dalla Cassazione (ordinanza n.29113/2022) che, in riforma della senza della Corte di appello che aveva ritenuto inerte il lavoratore nella richiesta delle ferie rispetto alle disposizioni contrattuali, ha sancito l’inversione dell’onere della prova in capo al datore di lavoro pubblico, sia se si tratti di personale dirigenziale sia di personale non dirigenziale.

Il fatto

Il Tribunale di primo grado unitamente alla Corte di appello hanno respinto le doglianze del dipendente sul mancato pagamento delle ferie pregresse a seguito delle sue dimissioni. A dire dei giudici aditi, infatti, ostano al pagamento sostitutivo delle ferie non godute, sia le disposizioni legislative (5, co. 8, d.l. 95/2012) che hanno espressamente vietato la loro monetizzazione, sia le disposizioni contrattuali secondo cui il periodo feriale minimo di quattro settimane «va goduto per almeno due settimane, consecutive in caso di richiesta del lavoratore, nel corso dell’anno di maturazione e, per le restanti due settimane, nei 18 mesi successivi al termine dell’anno di maturazione». In altri termini, sarebbe stato onere del dipendente mostrare le richieste di ferie avanzate al proprio ente e l’eventuale diniego alla loro fruizione, in assenza di prova in tal senso le ferie non potranno essere monetizzate.

Il dipendente ha, quindi, proposto ricorso in Cassazione dolendosi delle errate conclusioni della Corte di appello, che avrebbe addossato oneri probatori che non potevano che essere a carico dell’ente e non del lavoratore, essendo non contestato il numero di giorni non fruiti di cui se n’è chiesta la monetizzazione.

La riforma della sentenza

Il ricorso è palesemente fondato alla luce delle indicazioni del giudice di legittimità, della Consulta e della Corte di Giustizia Europea. Infatti, secondo i giudici euro unitari «ostano a una normativa nazionale, come quella discussa nel procedimento principale, in applicazione della quale, se il lavoratore non ha chiesto, nel corso del periodo di riferimento, di poter esercitare il suo diritto alle ferie annuali retribuite, detto lavoratore perde, al termine di tale periodo – automaticamente e senza previa verifica del fatto che egli sia stato effettivamente posto dal datore di lavoro, segnatamente con un’informazione adeguata da parte di quest’ultimo, in condizione di esercitare questo diritto».

La stessa Consulta ha avuto modo di precisare che, non potrebbe vanificarsi «senza alcuna compensazione economica, il godimento delle ferie compromesso … da …. causa non imputabile al lavoratore», tra cui rientra quanto deriva dall’inadempimento del datore di lavoro ai propri obblighi organizzativi in materia.

Pertanto, in coerenza con le indicazioni dei giudici europei e della Consulta, il giudice di legittimità ha precisato che, la perdita del diritto alle ferie, ed alla corrispondente indennità sostitutiva alla cessazione del rapporto di lavoro, può dunque verificarsi «soltanto nel caso in cui il datore di lavoro offra la prova di avere invitato il lavoratore a godere delle ferie – se necessario formalmente – e di averlo nel contempo avvisato – in modo accurato ed in tempo utile a garantire che le ferie siano ancora idonee ad apportare all’interessato il riposo ed il relax cui esse sono volte a contribuire – che, in caso di mancata fruizione, tali ferie andranno perse al termine del periodo di riferimento o di un periodo di riporto autorizzato» (Cassazione, n.21780/2022). Principio che è stato esteso anche ai dirigenti secondo cui «il potere del dirigente pubblico di organizzare autonomamente il godimento delle proprie ferie, pur se accompagnato da obblighi previsti dalla contrattazione collettiva di comunicazione al datore di lavoro della pianificazione delle attività e dei riposi, non comporta la perdita del diritto, alla cessazione del rapporto, all’indennità sostitutiva delle ferie se il datore di lavoro non dimostra di avere, in esercizio dei propri doveri di vigilanza ed indirizzo sul punto, formalmente invitato il lavoratore a fruire delle ferie e di avere assicurato altresì che l’organizzazione del lavoro e le esigenze del servizio cui il dirigente era preposto non fossero tali da impedire il loro godimento» (Cassazione, n.18140/2022).

Conclusione

In base ai sopra indicati principi, in accoglimento dei motivi del dipendente ricorrente, la sentenza è stata cassata e rinviata per una nuova decisione alla Corte di appello in diversa composizione, spettando a quest’ultima attenersi ai principi di diritto enunciati.