Il dirigente che reclama un aumento della sua retribuzione di posizione, per l’incarico apicale ricevuto in sostituzione del dirigente titolare, non è abilitato a richiedere il parere del legale interno che ha fornito risposta negativa alle richieste, anche se tale parere è causa del diniego ricevuto
3 OTTOBRE 2022
Approfondimento di Vincenzo Giannotti
Il dirigente che reclama un aumento della sua retribuzione di posizione, per l’incarico apicale ricevuto in sostituzione del dirigente titolare, non è abilitato a richiedere il parere del legale interno che ha fornito risposta negativa alle richieste, anche se tale parere è causa del diniego ricevuto. Secondo il TAR per la Puglia (sentenza n.1012/2022), infatti, il parere legale, qualora funzionale a elaborare una strategia difensiva dell’ente in fase di precontenziosa non è ostensibile, giacché se consentita si porrebbe in contrasto con il principio di parità delle armi, poiché consentirebbe a una delle parti di conoscere anticipatamente i “gangli vitali” delle tesi giuridiche di controparte, senza dover consentire necessariamente pari conoscenza delle proprie al (potenziale) avversario.
Ad un dirigente della Camera di commercio gli venivano conferite le funzioni di Segretario Generale dell’ente e di incarichi ad interim di dirigente di alcuni settori. Nel provvedimento di Giunta veniva, altresì, stabilito di confermare che ai dirigenti con incarico ad interim sarà riconosciuta esclusivamente una retribuzione di risultato che sarà disciplinata in sede di contrattazione decentrata”. Il dirigente ha continuato a svolgere le funzioni di Segretario fino al suo collocamento a riposo, reclamando a tal fine i maggiori compensi dovuti come retribuzione di posizione per l’incarico di Segretario, mentre gli era erogata la retribuzione di risultato, maggiorata secondo le regole decentrate, per gli incarichi ad interim svolti. Al fine della richiesta ricevuta, l’ente richiedeva sia un parere a un legale esterno, sia un parere all’ARAN in merito al trattamento economico spettante a un Dirigente di II fascia chiamato a ricoprire i compiti di Segretario Generale. Sulla base dei citati pareri, l’Ente camerale disponeva il diniego all’aumento della retribuzione di posizione reclamata dal dirigente per le funzioni sostitutive di Segretario.
A seguito del citato diniego e al fine della propria difesa, avanzava richiesta di ostensione del parere legale e di quello dell’ARAN, oltre ad altra documentazione. Di tutta la documentazione, l’Ente non concedeva esclusivamente il parere del legale esterno ricevuto, giustificando il diniego di accesso in ragione della riservatezza tipica della relazione tra professionista e cliente finalizzato a definire una strategia riguardante un potenziale e preannunciato contenzioso.
Il ricorrente, quindi, ha adito il Tribunale amministrativo reclamando l’ostensione del parere in questione e lamentando la violazione della normativa di settore ed in particolare dell’art. 24 L. n.241/1990, sostenendo, in particolare, che per l’accesso ai pareri legali si deve fare riferimento al citato art. 24 che ha ridotto la segretezza degli atti della P.A. a casi specifici, in ragione della tipologia d’interessi e delle finalità, stabilendo precisi limiti al diritto di accesso. Inoltre, se i pareri legali sono riferiti all’iter procedimentale e sono parte integrante del provvedimento finale, allora sono soggetti all’accesso; al contrario, se attengono a tesi difensive in un procedimento contenzioso o pre-contenzioso non sono ostensibili.
Secondo la tesi difensiva dell’ente, l’accesso ai pareri legali si colloca tra il principio di trasparenza della Pubblica Amministrazione e il segreto professionale, tenendo conto della diversa natura della consulenza che l’amministrazione può richiedere al proprio legale. La giurisprudenza prevalente ha rilevato che, se il ricorso a un parere esterno avviene nell’ambito di un’istruttoria procedimentale, esso svolge una funzione endoprocedimentale, e deve essere reso accessibile: poiché inserito in un segmento endoprocedimentale, il parere si “amministrativizza”, e diviene documentazione amministrativa, ex art. 22 L.241/1990. Qualora, invece, il parere sia stato richiesto in occasione di un contenzioso, cioè nel corso di un giudizio oppure in una fase pre-contenziosa, l’accesso a esso potrebbe incidere sul diritto di difesa costituzionalmente garantito e, per tale ragione, deve essere negato. Infatti, la giurisprudenza amministrativa ha avuto modo di precisare che “si deve riconoscere l’ostensione in accoglimento dell’istanza d’accesso quando il parere ha una funzione endoprocedimentale ed è quindi correlato a un procedimento amministrativo che si conclude con un provvedimento ad esso collegato anche solo in termini sostanziali e, quindi, pur in assenza a un suo richiamo formale; si deve negare, invece, l’accesso quando il parere viene espresso al fine di definire una strategia una volta insorto un determinato contenzioso, ovvero una volta iniziate situazioni potenzialmente idonee a sfociare in un giudizio” (Tar Veneto, sez. II, sentenza 14.9.2021 n. 1092). Pertanto, il parere legale emesso in favore di una P.A. non possa – e non debba – essere osteso quando lo stesso è richiesto, come nel caso di specie, una volta che siano chiare le intenzioni di una parte di addivenire ad un contenzioso.
Secondo i giudici amministrativi di primo grado il ricorso deve essere rigettato. Infatti, laddove il parere sia mirato a definire una strategia difensiva, nell’ambito di una situazione contenziosa o precontenziosa (pur se procedimentalizzato), sia escluso dal diritto di accesso, poiché ciò violerebbe il diritto di difesa dell’Amministrazione costituzionalmente garantito. Nel caso di specie, pur non essendo ancora la questione sfociata in un contenzioso, è di tutta evidenza la posizione di conflitto tra le parti inerente alla retribuzione di posizione, rispettivamente reclamata e negata, sicché può agevolmente ritenersi sussistente la situazione precontenziosa. Non può, inoltre, nutrirsi dubbio sul fatto che il parere sia funzionale ad elaborare una strategia difensiva, e la predetta situazione precontenziosa deve desumersi dalla considerazione che, diversamente, non vi sarebbe giustificazione alcuna per la sua acquisizione, poiché la funzione istruttoria dell’Ente non contempla normalmente il ricorso a pareri legali esterni, ammissibili solo perché funzionali ad assumere determinazioni nell’ambito della posizione di elevata conflittualità già emersa.
D’altra parte, concludono i giudici amministrativi, se fosse consentita l’acquisizione del parere del legale esterno, esso si porrebbe in contrasto con il principio di parità delle armi, in quanto consentirebbe ad una delle parti di conoscere anticipatamente i “gangli vitali” delle tesi giuridiche di controparte, senza dover consentire necessariamente pari conoscenza delle proprie al (potenziale) avversario.