26 SETTEMBRE 2022
Non è sufficiente il conferimento di un incarico dirigenziale o di responsabilità al segretario per integrare gli estremi che consentono la revoca per cambiamenti organizzativi. Le argomentazioni poste a base della scelta di revocare un incarico di responsabilità devono essere esplicitate nel relativo provvedimento. E’ onere dei ricorrenti dimostrare quali sono le ragioni per le quali si ritiene illegittima la revoca disposta dall’ente. Il finanziamento del salario accessorio dei dirigenti a tempo determinato è a carico del fondo per la contrattazione decentrata. In questa direzione vanno le indicazioni dettate dalla più recente giurisprudenza della Corte di Cassazione. Non si può mancare di sottolineare che il tratto comune è la ricerca di un punto di equilibrio tra le ragioni delle amministrazioni e quelle dei dirigenti e dei responsabili.
Il conferimento dell’incarico di responsabile di un settore al segretario comunale non integra gli estremi della riorganizzazione e, quindi, rende illegittima la revoca anticipata dell’incarico così motivata. Sono queste le indicazioni di maggiore rilievo contenute nella ordinanza della sezione lavoro della Corte di Cassazione n. 22926/2022. La pronuncia ribalta quanto stabilito dalla Corte d’Appello.
In premessa, ci viene ricordato che la pronuncia impugnata ha assunto la “irrilevanza della durata (trimestrale) dell’incarico” e che la sua “revoca anticipata incontra i limiti legislativamente e pattiziamente stabiliti”, citando l’art. 109 del d.lgs. n. 267/2000 sul conferimento di incarichi dirigenziali e l’articolo 9 del CCNL 31.3.1999. Tali disposizioni prevedono “che la revoca di un incarico possa scaturire o da un procedimento disciplinare o dal mancato raggiungimento degli obiettivi o da esigenze riorganizzative adeguatamente motivate”. Per queste ultime si richiede la adozione “con un atto formale .. e una motivazione esplicita, fondata su ragioni attinenti al settore cui è preposto il dirigente”. Nel caso specifico la revoca è connessa “al conferimento dello stesso incarico al segretario comunale”. Il che, non essendo “ancorata esplicitamente ad un mutamento dell’assetto organizzativo, non integra quella riorganizzazione richiesta dalla disciplina per la revoca anticipata dell’incarico dirigenziale .. revoca deve essere adottata con un atto formale, deve essere motivata in modo esplicito e le ragioni organizzative, per costituire legittimo fondamento della revoca anticipata dell’incarico dirigenziale, devono attenere allo specifico settore cui è preposto il dirigente”. Evidenzia la pronuncia inoltre che “il venir meno dell’incarico di posizione organizzativa non determina automaticamente l’effetto demansionante”.
La motivazione della revoca di un incarico di posizione organizzative deve consentire al dipendente di avere notizia delle ragioni poste a base della scelta dell’ente e non anche degli apprezzamenti discrezionali che sono stati fatti. Nel caso specifico la revoca, siamo nel CCNL degli enti pubblici non economici, è stata motivata dalla irrogazione di una sanzione disciplinare, ipotesi prevista da quel contratto. Sono questi i principi fissati dalla sentenza della sezione lavoro della Corte di Cassazione n. 24122/2022
Leggiamo testualmente che: “la motivazione imposta dalle parti collettive non si modella su quella degli atti amministrativi e, pertanto, non è applicabile alla fattispecie l’art. 3, comma 2, della legge n. 241/1990 secondo cui la motivazione deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione, in relazione alle risultanze dell’istruttoria; da tempo, infatti, questa Corte ha affermato che gli atti di gestione del rapporto di impiego contrattualizzato sono espressione dei poteri propri del datore di lavoro privato, con la conseguenza che il rispetto dell’obbligo di motivazione imposto dalla legge o dalla contrattazione collettiva va misurato, da un lato, sulla natura dell’atto e sugli effetti che lo stesso produce, dall’altro sui principi di correttezza e buona fede ai quali nello svolgimento del rapporto di lavoro è obbligato ad attenersi il datore di lavoro pubblico; in altri termini la motivazione dell’atto espressione di un potere privato si atteggia diversamente a seconda della funzione dell’atto del quale si discute sicché, ad esempio, se in tema di conferimento di incarico si è ritenuta necessaria una valutazione comparativa degli aspiranti alla nomina (Cass. n. 6485/2021), in relazione agli atti risolutivi del rapporto è stato ritenuto sufficiente il mero richiamo al presupposto di fatto che la risoluzione giustifica (Cass. n. 7704/2003 in tema di destituzione e Cass. n. 758/2006 in relazione al licenziamento disciplinare)”.
Ed inoltre, “la motivazione si modella diversamente a seconda delle diverse ipotesi che giustificano la revoca e, quindi, se per la violazione delle direttive occorre l’indicazione degli ordini violati, per i risultati negativi la menzione dei dati dai quali il giudizio è stato tratto, per la modifica organizzativa il richiamo ai provvedimenti che quella riorganizzazione hanno attuato, per la sanzione disciplinare è sufficiente la menzione del provvedimento con il quale la stessa è stata irrogata; non è invece necessario che il datore dia conto anche delle ragioni per le quali ha ritenuto di dover esercitare il potere discrezionale perché le valutazioni che rientrano nella discrezionalità sono comunque incensurabili e la loro esplicitazione risulterebbe priva di finalità”.
Spetta ai ricorrenti contro il provvedimento di conferimento di incarichi dirigenziali spiegare quali sono le ragioni per le quali ritengono illegittima la mancata assegnazione: è quanto ha stabilito la sentenza della sezione lavoro della Corte di Cassazione n. 17320/2022.
Leggiamo in primo luogo che “laddove l’amministrazione non abbia fornito nessun elemento circa i criteri e le motivazioni seguiti nella scelta dei dirigenti ritenuti maggiormente idonei agli incarichi da conferire, è configurabile inadempimento contrattuale suscettibile di produrre danno risarcibile”. Ed ancora, è necessario che “il requisito motivazionale, ove riferito ad una valutazione comparativa, per essere soddisfatto necessiti l’esplicitazione non solo delle qualità che caratterizzano la posizione del prescelto, ma anche di quelle degli altri candidati e delle ragioni per le quali, rispetto alle qualità valorizzate, essi siano stati scartati”. Di conseguenza, occorre “rendere chiari i profili cui discrezionalmente si è ritenuto di attribuire preponderanza e, poi, le ragioni per cui, rispetto a tali profili, gli altri concorrenti fossero da ritenere meno preferibili”.
Dalla violazione di tali principi può scaturire, nel caso in cui viene accertato che “chi agisce avesse una significativa probabilità di essere prescelto” il diritto al risarcimento.
Ed infine, leggiamo che “l’atto di conferimento di incarichi dirigenziali richiede un’adeguata moticazione delle ragioni per cui il candidato selezionato sia stato prescelto all’esito delle valutazione comparativa con gli altri candidati. Ai fini dell’accertamento e della liquidazione del danno da perdita di chance vanno distinte le ipotesi in cui la suddetta motivazione sia mancante o illegittima, ovvero soltanto insufficiente. Nel primo caso il giudice investito della domanda risarcitoria dovrà procedere ex novo a una valutazione comparativa del profilo dei candidati, verificando se l’attore avesse una significativa probabilità di essere prescelto e, in caso positivo, calcolando il risarcimento tenendo conto dell’incertezza sottesa alla natura ipotetica del giudizio prognostico. Nel secondo caso, invece, ove dalla motivazione assunta dalla P.A. sia possibile evincere i criteri di merito posti a fondamento della nomina, il giudice dovrà apprezzare alla stregua di questi ultimi l’esistenza di una significativa probabilità che la valutazione comparativa delle posizioni dei candidati esclusi conducesse a un diverso esito, su cui fondare il ristoro”. Di conseguenza, conclusivamente, ci viene detto che è onere del ricorrente “indicare gli elementi oggettivi e certi da cui desumere che la medesima sarebbe stata probabilmente designato in luogo degli altri aspiranti, non essendo a ciò sufficiente una precedente valutazione favorevole implicita nell’incarico già ricoperto”.
Gli oneri per la retribuzione posizione e di risultato dei dirigenti assunti a tempo determinato sono a carico del fondo per la contrattazione decentrata, nel tetto delle posizioni effettivamente coperte. Lo ha stabilito la sentenza della sezione lavoro della Corte di Cassazione n. 13929/2022.
In primo luogo, viene chiarito che “nella determinazione del fondo previsto dalla stessa disposizione contrattuale deve tenersi conto delle sole posizioni dirigenziali effettivamente coperte e non di tutte quelle contemplate nell’organico dell’ente e che, inoltre, lo stesso fondo va utilizzato anche per le indennità spettanti ai dirigenti assunti con contratto a tempo determinato (Cass. n. 9645 del 2012)”.
E’ strettamente connessa la seconda indicazione: “emerge la volontà delle parti contraenti di tener conto, nell’operazione di incremento del fondo in questione nei casi di rideterminazione della dotazione organica dei posti di funzione dirigenziale, del valore delle posizioni organizzative di nuova istituzione effettivamente ricoperte e di considerare come parametro di riferimento, per l’individuazione del valore complessivo del finanziamento della retribuzione di posizione e di risultato, quello dell’indennità di funzione in godimento ai dirigenti in servizio. In tal modo le parti contraenti hanno chiaramente manifestato l’intenzione di non voler considerare indiscriminatamente, nella determinazione del fondo in esame, il valore di tutte le posizioni organizzative in organico, ma solo di quelle effettivamente ricoperte, confermando che anche il valore complessivo del finanziamento non può essere calcolato se non con riferimento all’indennità di funzione in godimento ai soli dirigenti in servizio al momento dell’entrata in vigore dello stesso accordo. Un’ulteriore conferma al fatto che gli enti pubblici datori di lavoro debbano riferirsi, ai fini che qui interessano, alle effettive coperture dell’organico dirigenziale la si rinviene nel CCNL 23.12.1999, articolo 26 comma 3”.
La terza indicazione è la seguente: “non vi è dubbio che la prevista limitazione dell’incremento finanziario del fondo di cui trattasi alle sole posizioni organizzative dirigenziali effettivamente ricoperte realizza un chiaro intento di contenimento della spesa pubblica”. A sostegno viene citata la nota dell’ARAN del 16/10/2009.
Per cui, “il CCNL Area della Dirigenza del Comparto Regioni – Autonomie locali del 23 dicembre 1999, articolo 26, va interpretato nel senso che nella determinazione del fondo in esso previsto deve tenersi conto delle posizioni dirigenziali effettivamente coperte all’interno dell’organico dell’ente e che lo stesso fondo va utilizzato anche per le indennità spettanti ai dirigenti assunti con contratto a tempo determinato”.
Infine, la norma di cui al d.lgs. n, 267/2000, articolo 110, comma 3, non è “di ostacolo all’inclusione dei dirigenti assunti a termine nel riparto delle risorse del Fondo: a) depone anzitutto in tal senso l’esigenza di evitare un aggravio di spesa a carico dell’Ente pubblico, come gia’ posto in evidenza da Cass. n. 9645 del 2012; b) e’ poi da rilevare che la norma di legge e la norma di fonte collettiva appartengono a piani diversi, poichè prevedere che il trattamento economico ed un’eventuale indennità ad personam per i dirigenti a tempo determinato sono definiti in stretta correlazione con il bilancio dell’ente e non vanno imputati al costo contrattuale e del personale, ancora in un’ottica del tutto trasparente di contenimento e razionalizzazione della spesa pubblica, non esclude la possibilità di fare ricorso al Fondo per il pagamento delle voci retributive accessorie cui lo stesso è preordinato”.