12 NOVEMBRE 2024
La “vicinitas”, intesa come lo stabile collegamento del soggetto interessato con la zona cui afferisce un atto rilasciato dalla Pubblica Amministrazione e su cui ricadono i relativi effetti, non è sufficiente a giustificare la richiesta di accesso agli atti ai sensi dell’art.22 legge 241/1990.
Occorre infatti qualcosa di più sostanziale e cioè la dimostrazione di essere titolare di un
interesse diretto, concreto e attuale, ricollegato ad un possibile pregiudizio che possa derivare al soggetto richiedente dal provvedimento rilasciato in favore di altri.
L’interesse potrebbe anche essere giustificato dalla pendenza di una vertenza giudiziaria con il proprietario del suolo confinante o con l’operatore economico che ha presentato al Comune la Scia per l’avvio di un’attività commerciale.
Diversamente, una richiesta generica e sganciata dalla pertinenza del contenuto degli atti rispetto alla situazione giuridica del richiedente finirebbe per essere generica e meramente esplorativa e dunque inammissibile per la P.A. intimata (art.24 c.3 l. 241/90).
La puntualizzazione arriva dal Tar Latina (sentenza n.629) che ha precisato i contorni del diritto di accesso agli atti della P.A., che non può essere svincolato dal parametro fissato dall’art.22 della legge 241/90 e cioè la posizione giuridica soggettiva qualificata e differenziata del richiedente, finalizzata a ricavare una utilità concreta dalla conoscenza dei provvedimenti richiamati.
In altre parole, una richiesta ampia e generica, sia sotto il profilo degli atti richiesti sia sotto quello del non precisato interesse all’ostensione, si presenta come formulata in forma massiva, che riflette più che altro finalità di controllo generalizzato dell’operato della Pubblica Amministrazione compulsata, che a questo punto può legittimamente respingere la richiesta di accesso agli atti.
Se è vero che il diritto di accesso si qualifica come bene autonomo della vita autonomo ed espressione di alta civiltà giuridica, poiché garantisce ai cittadini di tutelare i propri interessi e di controllare la trasparenza e l’imparzialità della Pubblica Amministrazione, è anche vero che è ancorato a due presupposti fondamentali e cioè:
– la dimostrazione che gli atti oggetto dell’istanza siano in grado di spiegare effetti diretti o indiretti nella propria sfera giuridica;
– la posizione da tutelare deve risultare collegata ai documenti oggetto della richiesta di accesso secondo una correlazione logico-funzionale.
In sintesi, il diritto di accesso agli atti e ai documenti amministrativi di cui all’art.22 della legge 241 del 1990:
– deve avere ad oggetto una specifica indicazione degli atti detenuti dalla P.A.;
– non può essere motivato sulla semplice circostanza della “vicinitas”;
– deve fondarsi sulla pertinenza degli stessi rispetto alla situazione giuridica dell’istante e sull’eventuale pregiudizio arrecato.
In caso contrario, la richiesta del privato sarebbe contraria al generale principio dell’ordinamento giuridico (valido sia nei rapporti fra privati che nei rapporti fra questi e l’Ente pubblico) della buona fede intesa in senso oggettivo, come dovere di lealtà e correttezza ex art.1175 c.c., e costringerebbe la P.A. ad un’attività di ricerca e catalogazione che esula dalle sue funzioni.