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Abusi edilizi su opere ante 1967: la prova dello stato legittimo spetta al proprietario

Il TAR Campania, Napoli, (Sez. IV), con la sentenza del 15 settembre 2025, n. 6195 chiarisce: per dimostrare che un immobile è stato costruito prima della “Legge Ponte” servono elementi oggettivi, non semplici dichiarazioni
 
 
 
 
 

28 OTTOBRE 2025

Il TAR Campania, Napoli, (Sez. IV), con la sentenza del 15 settembre 2025, n. 6195 interviene su un tema centrale nel diritto edilizio: la prova dello stato legittimo di immobili edificati prima dell’entrata in vigore della legge 6 agosto 1967, n. 765 (“Legge Ponte”). Tale legge introdusse l’obbligo della licenza edilizia anche per le costruzioni fuori dai centri urbani, segnando il confine tra edilizia “libera” e assoggettata ad autorizzazione.

Il caso

La causa nasce dal ricorso di una proprietaria contro un’ordinanza di demolizione emessa dal Comune per diverse opere realizzate senza titolo: una platea pavimentata con manufatto in legno e muratura, una piscina interrata e un piccolo deposito. L’interessata sosteneva che le strutture esistessero da tempo immemorabile, dunque anteriori al 1967, e che gli interventi successivi si fossero limitati a manutenzione o risanamento conservativo. A supporto di tale tesi, la ricorrente aveva presentato una relazione tecnica di parte, affermando che gli interventi non avevano modificato volume, sagoma o superficie, e che, al più, sarebbero stati sanabili mediante una semplice SCIA. Il Comune, però, aveva ritenuto l’intero complesso abusivo, ordinando la rimozione di tutte le opere.

La decisione

Il TAR ha respinto il ricorso, chiarendo che l’onere di dimostrare la data di realizzazione dell’immobile grava sul proprietario o sul responsabile dell’abuso. Chi invoca l’epoca anteriore al 1° settembre 1967 deve fornire prove rigorose e documentali: non basta una perizia tecnica o dichiarazioni di parte, ma occorrono documenti oggettivi e verificabili, come aerofotogrammetrie, mappe catastali, rilievi storici, o resti materiali (ruderi, fondamenta).
In assenza di tali elementi, l’amministrazione può legittimamente ordinare la demolizione, senza dover motivare sull’interesse pubblico sotteso, anche se l’opera è molto datata o il proprietario è diverso dall’autore dell’abuso.

La sentenza ribadisce inoltre che l’opera edilizia abusiva va valutata nel suo complesso, e non limitatamente ai singoli interventi contestati. Secondo il TAR, seguendo la giurisprudenza consolidata del Consiglio di Stato, il manufatto deve essere considerato nella sua incidenza complessiva sull’assetto edilizio, e non come somma di elementi separati.

Particolarmente rilevante è il passaggio in cui i giudici precisano che la prova dell’epoca di costruzione deve fondarsi su elementi certi, univoci e oggettivi. Le dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà o le attestazioni di terzi sono prive di valore, poiché non verificabili. L’attività edilizia, afferma il TAR, è per sua natura suscettibile di tracciamento documentale, e la prova deve potersi ricostruire su basi oggettive, spaziali e temporali.

Le conclusioni

La decisione del TAR Campania fornisce un orientamento operativo chiaro, un principio destinato a incidere significativamente sulle pratiche edilizie e sui contenziosi relativi a immobili di costruzione risalente: senza documenti certi, lo “stato legittimo” non può essere presunto.
  • l’onere della prova dello stato legittimo grava su chi invoca l’epoca anteriore al 1967;
  • la prova deve essere oggettiva e documentata, non basata su dichiarazioni;
  • l’amministrazione può ordinare la demolizione anche a distanza di decenni, senza dover motivare l’interesse pubblico;
  • la valutazione delle opere deve essere unitaria e non frazionata.