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Inadempimento dell’amministrazione alla convenzione urbanistica: voci del risarcimento e criteri

La convenzione stipulata tra privato ed amministrazione volta a disciplinare le modalità di realizzazione di opere di urbanizzazione deve assimilarsi a un accordo sostitutivo del provvedimento amministrativo ex articolo 11 della legge 7 agosto 1990, n. 241

7 APRILE 2025

La convenzione urbanistica e il regime di responsabilità

La convenzione urbanistica rappresenta un accordo tra un soggetto privato e la pubblica amministrazione, finalizzato alla realizzazione di opere di urbanizzazione o alla disciplina dell'uso del territorio. Secondo il Consiglio di Stato (sentenza n. 1962/2025), tale convenzione assume la natura di un accordo sostitutivo del provvedimento amministrativo ai sensi dell’art. 11 della legge 241/1990. Di conseguenza, in caso di inadempimento da parte della pubblica amministrazione, trovano applicazione i principi civilistici in materia di obbligazioni, inclusi quelli sulla ripartizione dell’onere della prova: spetta al privato dimostrare la fonte del proprio diritto e la scadenza dell’obbligazione, mentre l’amministrazione deve provare di aver adempiuto o giustificare l’inadempimento.

Le voci del risarcimento del danno

Nel caso in cui l’inadempimento della pubblica amministrazione provochi un danno al privato, il risarcimento viene suddiviso nelle seguenti voci:

  1. Danno emergente: comprende le spese sostenute e documentate, direttamente imputabili all’attuazione della convenzione urbanistica. Tuttavia, non tutte le spese possono essere risarcite: sono escluse quelle che, per la loro natura indivisibile, il privato avrebbe comunque dovuto sostenere.
  2. Regime fiscale e oneri tributari: non rientrano nel risarcimento i costi legati al regime di tassazione dell’immobile rimasto invenduto. Questi, infatti, non sono considerati un danno patrimoniale ma un obbligo fiscale derivante dalla titolarità del bene, che comporta anche vantaggi in termini di solvibilità e garanzia patrimoniale.
  3. Lucro cessante e perdita di chance: il risarcimento può includere il mancato guadagno derivante dall’impossibilità di vendere un immobile a causa dell’inadempimento. Per la perdita di chance, il danno viene calcolato tenendo conto della probabilità concreta di realizzare il guadagno atteso.

I criteri di quantificazione

La giurisprudenza ha chiarito che la quantificazione del danno da perdita di chance segue la cosiddetta "teoria ontologica", secondo cui la chance costituisce una componente patrimoniale autonoma. La sua liquidazione avviene in via equitativa, applicando l’art. 1226 c.c., e si basa su parametri oggettivi quali la presenza di proposte di acquisto, le condizioni di mercato e la natura della convenzione. La sentenza del Consiglio di Stato (Sez. IV) del 10 marzo 2025 n. 1962 stabilisce che il lucro cessante deve essere stimato partendo dall’utile presuntivamente ottenibile, sul quale si calcola una percentuale corrispondente alla concreta probabilità di conseguire il vantaggio economico atteso.