Antico convento del XV secolo: è bene immobile demaniale
Nella recente sent. 27 agosto 2024, n. 2752, il Consiglio di Stato, sez. V, richiamando proprio la suddetta normativa, ha ritenuto rientrante nel patrimonio demaniale di un comune un antico convento, risalente ai primi decenni del XV secolo, considerato che si riscontravano tutti i requisiti prescritti:• l’appartenenza al Comune a titolo di proprietà; • la risalenza della sua esecuzione ad oltre settanta anni addietro, • l’essere opera di autore non più vivente
13 SETTEMBRE 2024
di Mario Petrulli
Le norme e la finalità
L’art. 10, comma 1, del Codice dei beni culturali e del paesaggio[1] definisce beni culturali “le cose immobili e mobili appartenenti allo Stato, alle regioni, gli altri enti pubblici territoriali che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico”; l’art. 12, comma 1, prevede che “le cose indicate all’art. 10, comma 1, che siano opera di autore non più vivente e la cui esecuzione risalga ad oltre settanta anni, sono sottoposte alle disposizioni della presente parte fino a quando non sia stata effettuata la verifica di cui al comma 2“; l’art. 12, comma 2, chiarisce che “i competenti organi del Ministero, d’ufficio o su richiesta formulata dai soggetti cui le cose appartengono e corredata dai relativi dati conoscitivi, verificano la sussistenza dell’interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico nelle cose di cui al comma 1, sulla base di indirizzi di carattere generale stabiliti dal Ministero medesimo al fine di assicurare uniformità di valutazione”.
L’art. 12, comma 1, del Codice ha una evidente finalità cautelare, in quanto volto a preservare la possibilità di acquisire al patrimonio storico-artistico quegli immobili di cui all’art. 10, comma 1 (ossia le «cose immobili appartenenti allo Stato, alle regioni, agli altri enti pubblici territoriali […]»), e allo stesso art. 12 (le cose immobili e mobili «che siano opera di autore non più vivente e la cui esecuzione risalga a oltre settanta anni»), in attesa dell’accertamento ministeriale secondo il procedimento di verifica della sussistenza dell’interesse culturale, delineato nell’art. 12, comma 2, del Codice.
La disciplina riprende, anche se solo con finalità cautelari, quanto già previsto dall’art. 4 della legge n. 1089 del 1939 che sottoponeva alla tutela ex lege tutte le cose di interesse storico-artistico appartenenti agli enti pubblici «anche se non risultino comprese negli elenchi e nelle dichiarazioni di cui al presente articolo»[2].
Gli effetti della presunzione legale della sussistenza dell’interesse culturale
La presunzione ex lege della sussistenza dell’interesse culturale, in attesa dell’accertamento definitivo, comporta la demanialità del bene almeno fino all’accertamento negativo dell’interesse storico-artistico[3], come si evince sia da quanto previsto dall’art. 12, comma 5, del Codice, il quale fa derivare la sdemanializzazione del bene proprio dal predetto accertamento negativo («Nel caso di verifica con esito negativo su cose appartenenti al demanio dello Stato, delle regioni e degli »altri enti pubblici territoriali, la scheda contenente i relativi dati è trasmessa ai competenti uffici affinché ne dispongano la sdemanializzazione […]»); il che presuppone che, fino alla verifica con esito negativo della sussistenza dell’interesse storico-artistico, i beni in questione rientrino nel demanio ai sensi dell’art. 822 del codice civile[4].
Il caso specifico di un antico convento del XV secolo
Nella recente sent. 27 agosto 2024, n. 2752, il Consiglio di Stato, sez. V, richiamando proprio la suddetta normativa, ha ritenuto rientrante nel patrimonio demaniale di un comune un antico convento, risalente ai primi decenni del XV secolo, considerato che si riscontravano tutti i requisiti prescritti:
l’appartenenza al Comune a titolo di proprietà;
la risalenza della sua esecuzione ad oltre settanta anni addietro,
l’essere opera di autore non più vivente.
La qualificazione come immobile del demanio comporta, come noto, l’applicazione della disciplina basata sull’art. 822, secondo comma, del codice civile e, in particolare l’applicazione dell’art. 823, secondo comma[5], del medesimo codice, che consente all’autorità amministrativa di esercitare i poteri di autotutela esecutiva, in primis quello di ordinare lo sgombero (competenza del dirigente comunale[6]), finalizzato al rientro in possesso del bene[7].
La ratio dell’attribuzione del potere di autotutela esecutiva sta nella necessità che i beni pubblici siano sottoposti al costante controllo della P.A., esercitabile attraverso tempestivi atti autoritativi sia per sottrarli a turbative che per meglio adeguarli alla loro pubblica funzione[8].
Nel caso specifico, i giudici di Palazzo Spada hanno ritenuto legittimo l’ordine di sgombero del convento a seguito della risoluzione per inadempimento di una risalente concessione, a suo tempo ottenuta da un operatore commerciale.
Le questioni relative alla giurisdizione sul provvedimento di autotutela esecutiva
La relativa controversia appartiene al giudice amministrativo[9], salvo che il privato destinatario del provvedimento non contesti la demanialità al fine di conseguire l’accertamento del proprio diritto sul bene: in tal caso, la relativa controversia spetta alla cognizione del giudice ordinario, in quanto non investe vizi dell’atto amministrativo, ma si esaurisce nell’indagine sulla titolarità della proprietà[10].
Note
[1] D.lgs. n. 42/2004.
[2] Consiglio di Stato, sez. VI, sent. 14 febbraio 2017, n. 642; sent. 4 agosto 2023, n. 7542.
[3] Consiglio di Stato, sez. V, sent. 27 agosto 2024, n. 2752.
[4] Consiglio di Stato, sez. VI, sent. 12 febbraio 2015, n. 769: «La disposizione ha introdotto cautelarmente un vincolo culturale in forza di una presunzione di legge, superabile soltanto a seguito di una verifica negativa, in quanto finalizzata all’esclusione dell’interesse culturale e conseguentemente al definitivo esonero dall’applicazione delle disposizioni di tutela dei beni culturali (art. 12 comma 4), anche in vista di una loro eventuale sdemanializzazione (art. 12 commi 5 e 6); […] in caso contrario e quindi di conferma dell’interesse culturale presunto, le cose di cui all’art. 10 del codice restano definitivamente sottoposte alle disposizioni di tutela del codice dei beni culturali (ai sensi dell’art. 12 comma 7)».
[5] “Spetta all’autorità amministrativa la tutela dei beni che fanno parte del demanio pubblico. Essa ha facoltà sia di procedere in via amministrativa, sia di valersi dei mezzi ordinari a difesa della proprietà e del possesso regolati dal presente codice.”
[6] TAR Sardegna, sez. II, sent. 17 giugno 2019, n. 541: “Ai sensi del generale principio di distinzione delle funzioni di indirizzo politico da quelle di gestione dell’amministrazione pubblica, riservate queste ultime alle figure amministrativo-dirigenziali, l’ordinanza di sgombero di proprietà comunali, costituendo attività di mera gestione, rientra nella competenza dirigenziale”; cfr. anche TAR Campania, Napoli, sez. IV, sent. 15 aprile 2024, n. 2523.
[7] Al contrario, come evidenziato dal TAR Campania, Napoli, sez. II, nella sent. 8 settembre 2020, n. 3725, “i provvedimenti di autotutela possessoria ex art. 823 comma 2 c.c. non possono essere utilizzati nel caso di beni appartenenti al patrimonio disponibile del Comune: in ossequio al principio di legalità, tale potere è esercitabile solo a tutela del demanio comunale (o secondo una interpretazione analogica a tutela dei beni appartenenti al patrimonio indisponibile; cfr. da ultimo, C.G.AS. 16 luglio 2019, n. 674)”; cfr. anche Consiglio di Stato, sez. VI, sent. 29 agosto 2019, n. 5934 e TAR Liguria, sez. I, sent. 8 luglio 2019, n. 601.
[8] Consiglio di Stato, sez. V, sent. 1° ottobre 1999 n. 1224; TAR Sardegna, sez. I, sent. 6 marzo 2018, n. 181; TAR Lazio, Latina, sez. I, sent. 27 luglio 2021, n. 487.
[9] Cass., SS.RR. civili, 7 maggio 2014, ord. n. 9827: la controversia avente ad oggetto la domanda di annullamento dell’ordinanza di sgombero, emessa in via di autotutela dalla P.A. ai sensi dell’art. 823, secondo comma, cod. civ., nell’esercizio di un proprio potere autoritativo, appartiene alla giurisdizione del giudice amministrativo, non ponendosi in discussione la proprietà statale del bene oggetto del giudizio e rientrando la controversia nelle fattispecie previste dall’art. 7, comma 1, del codice del processo amministrativo.
[10] Cass., SS.RR., 6 giugno 1997, n. 5089.