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Ristrutturazione necessitante del permesso di costruire ed insufficienza della SCIA: un recente caso concreto

Come evidenziato dal TAR Lombardia, Milano, sez. I, nella sent. 10 luglio 2024, n. 2110, si è dinanzi ad una ristrutturazione edilizia necessitante del permesso di costruire nel caso di un intervento comportante una modifica della volumetria complessiva e consistente
 

9 SETTEMBRE 2024

di Mario Petrulli
 

La sentenza e l’intervento specifico

Come evidenziato dal TAR Lombardia, Milano, sez. I, nella sent. 10 luglio 2024, n. 2110, si è dinanzi ad una ristrutturazione edilizia necessitante del permesso di costruire nel caso di un intervento comportante una modifica della volumetria complessiva e consistente:
 
nel rinnovamento e nella modifica della posizione delle finestre,
nella distribuzione dei tavolati interni, nella implementazione delle caratteristiche energetiche,
nel rinnovamento degli impianti tecnologici,
nella modifica della struttura portante dell’immobile, con spostamento di tramezzi, sostituendo dei muri di sponda con una nuova struttura in acciaio,
nella realizzazione di un pilastro d’angolo e di alcuni scalini,
nella chiusura e apertura di nuove finestre,
nel restringimento e nella trasformazione di finestre in porte/finestre.
 
 
 
 
La giurisprudenza
A tal proposito, recente giurisprudenza evidenzia che “L’apertura di porte e finestre non rientra fra gli interventi di manutenzione straordinaria e, in quanto opere non di mero ripristino bensì modificatrici dell’aspetto degli edifici, vanno ricomprese fra quelle di ristrutturazione edilizia per la cui realizzazione è necessario il rilascio della concessione edilizia. Lo stesso vale per le variazioni delle modifiche prospettiche della facciata, per le quali è necessario il permesso di costruire, trattandosi di interventi di ristrutturazione edilizia. Medesimi rilievi valgono per le distribuzioni delle tramezzature interne, atteso che, com’è noto, infatti, l’art. 3, lett. d) d.P.R. 380/2001 sussume nella categoria ricostruttiva della ristrutturazione edilizia gli interventi volti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto ed in parte diverso dal precedente”[1].
 
Il complessivo intervento realizzato muta la consistenza, i volumi e i prospetti del manufatto originario, integrando, in tal modo, la fattispecie di cd. ristrutturazione pesante di cui all’art. 10, comma 1, lett. c), del Testo Unico Edilizia[2], che subordina al permesso di costruire “gli interventi di ristrutturazione edilizia che comportino aumento di unità immobiliari, modifiche del volume, della sagoma, dei prospetti o delle superfici …”.
 
Come chiarito in sede di Adunanza della sez. I del Consiglio di Stato del 12 gennaio 2022 (numero affare 544/2021), “la modifica della sagoma, dell’altezza, dei prospetti e del volume della originaria costruzione non consentono di qualificare l’intervento come ristrutturazione edilizia ordinaria, prevista dall’articolo 3, comma 1, lettera d) del D.P.R. n. 380 del 2001, rientrando, invece, lo stesso nella diversa categoria della ristrutturazione edilizia pesante, contemplata dall’articolo 10 del testo unico dell’edilizia”.
 

La distinzione nell’ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia rispetto al titolo necessario

Dunque, giova discernere nell’ambito della nozione di interventi di ristrutturazione edilizia:
 
quelli che – ai sensi dell’art. 10 del T.U. cit. – portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino aumento di unità immobiliari, modifiche del volume, della sagoma, dei prospetti o delle superfici, ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d’uso, richiedenti il permesso di costruire;
quelli che consistano, invece, nella realizzazione di un organismo edilizio identico al precedente, senza aumento di unità immobiliari, modifiche del volume, della sagoma, dei prospetti o delle superfici, né, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, mutamenti della destinazione d’uso, che viceversa tale permesso non richiedono, restando perciò soggetti alla disciplina abilitativa semplificata di cui all’art. 22 del cit. T.U.
Sul punto la giurisprudenza da tempo precisa che il discrimine tra gli interventi manutentivi o di restauro ovvero di c.d. ristrutturazione leggera per i quali è sufficiente la SCIA e un intervento edilizio necessitante di permesso di costruire, si sostanzia nel fatto che i primi sono diretti a conservare l’edificio nel rispetto della sua tipologia, forma e struttura, senza alcun inserimento di elementi innovativi sotto l’aspetto della migliore e più ampia fruizione (anche se sostitutivi di quelli precedenti), mentre la seconda ottiene il risultato di modificare l’originaria consistenza fisica dell’edificio[3].
 
Inoltre, come evidenziato dalla giurisprudenza in un’altra occasione, “la sola variazione della volumetria già di per sé riconduce l’intervento alla categoria della ristrutturazione c.d. “pesante”, stante il testo della norma che parla letteralmente di modifica della volumetria complessiva, senza dare rilievo alla distinzione tra aumento o diminuzione della stessa, in quanto in entrambi i casi l’organismo edilizio viene modificato nella sua consistenza materiale, snaturandone le caratteristiche dell’edificio originario”[4].
 
Note
 
[1] TAR Campania, Salerno, sez. II, sent. 15 marzo 2021, n. 658; cfr. anche TAR Toscana, sez. III, sent. 28 gennaio 2021, n. 140, secondo cui “Per giurisprudenza assolutamente consolidata, la chiusura di un balcone o di una terrazza, comunque realizzata, comporta un incremento di volume e superficie utile, che si accompagna alla modifica di sagoma e prospetto dell’edificio cui il manufatto accede. Essa dà pertanto luogo a un intervento di ristrutturazione edilizia “pesante” che necessita del preventivo rilascio del permesso di costruire, e al quale non può riconoscersi natura pertinenziale, costituendo la veranda un nuovo ambiente autonomamente utilizzabile che va ad aggregarsi ad un preesistente organismo edilizio (per tutte, cfr. da ultimo Cons. Stato, sez. II, 23 ottobre 2020, n. 6432; id., sez. II, 12 febbraio 2020, n. 1092; id., sez. VI, 4 ottobre 2019, n. 6720; id., sez. VI, 9 ottobre 2018, n. 5801)”.
 
[2] d.P.R. n. 380/2001.
 
[3] TAR Campania, Napoli, sez. VI, sent. 2 febbraio 2021, n. 697.
 
[4] TAR Lombardia, Milano, sez. II, sent. 22 luglio 2019, n. 1694: “L’art 10 comma 1, lett. c), DPR n. 380/2001 definisce gli interventi di ristrutturazione edilizia c.d. “pesante”, cioè quelli che “portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino modifiche della volumetria complessiva degli edifici o dei prospetti”.
 
Laddove quindi viene realizzato un quid novi, conseguente alla modifica della volumetria o dei prospetti, le opere possono essere assentite solo con il permesso di costruire, a differenza degli interventi di ristrutturazione edilizia c.d. “leggera” o degli interventi c.d. minori, la cui esecuzione è subordinata a SCIA.
 
Nel caso in esame dal raffronto grafico tra l’edificio preesistente e quello realizzato si evince che il risultato finale è un organismo diverso rispetto al precedente, con diversa sagoma e prospetti. In effetti il piano terra e il primo piano sono differenti per impianto e forma, e soprattutto – aspetto decisivo – il profilo estetico-architettonico dell’edificio risulta modificato, come si evince dalla tavole del prospetto Est (cfr. doc 2 del Comune). Contrariamente da quanto affermato dal ricorrente, le opere hanno comportato una variazione dei prospetti, così integrando un essenziale presupposto per l’ascrivibilità dell’intervento alla fattispecie di cui all’art 10 comma 1, lett. c), DPR n. 380/2001.
 
Non viene contestato il dato della variazione della volumetria, seppur in diminuzione, in quanto gli spazi sono stati collocati in modo diverso e sono ridotti. Tuttavia la sola variazione della volumetria già di per sé riconduce l’intervento alla categoria della ristrutturazione c.d. “pesante”, stante il testo della norma che parla letteralmente di modifica della volumetria complessiva, senza dare rilievo alla distinzione tra aumento o diminuzione della stessa, in quanto in entrambi i casi l’organismo edilizio viene modificato nella sua consistenza materiale, snaturandone le caratteristiche dell’edificio originario.”