Il TAR Campania, Salerno, (Sez. I), nella sentenza del 26 giugno 2024, n. 1404 ha stabilito che deve ritenersi illegittima l’inclusione nel piano di dismissione immobiliare del Comune di un immobile di proprietà dell’ente locale connotato da acclarati abusi edilizi non demoliti
17 LUGLIO 2024
di Mario Petrulli
L'art. 58, comma 1, del d.l. n. 112/2008, rubricato "Ricognizione e valorizzazione del patrimonio immobiliare di regioni, comuni ed altri enti locali", reca la seguente disciplina: “Per procedere al riordino, gestione e valorizzazione del patrimonio immobiliare di Regioni, Province, Comuni e altri Enti locali, nonché di società o Enti a totale partecipazione dei predetti enti, ciascuno di essi, con delibera dell'organo di Governo individua, redigendo apposito elenco, sulla base e nei limiti della documentazione esistente presso i propri archivi e uffici, i singoli beni immobili ricadenti nel territorio di competenza, non strumentali all'esercizio delle proprie funzioni istituzionali, suscettibili di valorizzazione ovvero di dismissione. Viene così redatto il piano delle alienazioni e valorizzazioni immobiliari allegato al bilancio di previsione nel quale, previa intesa, sono inseriti immobili di proprietà dello Stato individuati dal Ministero dell'economia e delle finanze - Agenzia del demanio tra quelli che insistono nel relativo territorio”.
Come risulta dal suo chiaro tenore letterale, la citata disposizione disciplina un complesso procedimento mediante il quale gli enti locali (nonché le società e gli organismi dagli stessi interamente partecipati) procedono alla redazione di un elenco dei singoli beni immobili ricadenti nel territorio di competenza, sulla cui base è redatto un piano delle alienazioni e valorizzazioni immobiliari; per preciso disposto normativo, il citato piano ha riguardo a beni “non strumentali all'esercizio delle proprie funzioni istituzionali” e “suscettibili di valorizzazione ovvero di dismissione”.
È importante tener conto del regime riservato dal legislatore agli immobili oggetto di abusi edilizi, in relazione ai quali, dalla disciplina complessivamente recata dall’art. 31 del Testo Unico Edilizia (d.P.R. n. 380/2001), emerge come la regola generale sia quella della demolizione.
Il fatto che con l'acquisizione al patrimonio comunale il bene diventi pubblico non comporta, infatti, che l'opera diventi legittima sotto il profilo urbanistico-edilizio; essa è pur sempre destinata a essere «demolita con ordinanza del dirigente o del responsabile del competente ufficio comunale a spese dei responsabili dell'abuso» (comma 5 dell'art. 31 d.P.R. n. 380 del 2001), salvo che (come previsto dal medesimo comma 5) «con deliberazione consiliare [...] si dichiari l'esistenza di prevalenti interessi pubblici e sempre che l'opera [stessa] non contrasti con rilevanti interessi urbanistici, ambientali o di rispetto dell'assetto idrogeologico» e, dunque, venga accertata, con deliberazione consiliare specificamente riferita al singolo immobile interessato, la sussistenza di interessi pubblici prevalenti rispetto all’interesse al ripristino della conformità del territorio alla normativa urbanistico-edilizia e la mancanza di contrasto dell'edificazione, pur sempre abusiva, con rilevanti interessi urbanistici, ambientali o di rispetto dell'assetto idrogeologico.
In proposito la giurisprudenza ha altresì precisato che, nell'ipotesi di costruzione in zona vincolata, “l’assenza di contrasto deve essere accertata dall'amministrazione preposta alla tutela del vincolo” (Cassazione civile, sez. III, 14 maggio 2021, n. 23360) e che “sottraendo l’opera abusiva al suo normale destino di demolizione previsto ex lege, la delibera comunale che dichiara l’esistenza di un interesse pubblico prevalente sul ripristino dell’assetto urbanistico violato non può fondarsi su valutazioni di carattere generale o riguardanti genericamente più edifici, ma deve dare conto delle specifiche esigenze che giustificano la scelta di conservazione del singolo manufatto, precisamente individuato, non potendo sopperire all’esigenza di una specifica determinazione meri richiami a disposizioni normative, ad altri provvedimenti o a valutazioni di ordine economico, inerenti al costo delle spese di demolizione, in quanto la natura eccezionale della deliberazione richiede che il mantenimento dell’opera abusiva sia giustificato dalla sussistenza di esigenze specifiche, individuate sulla base di dati obiettivi riferiti al singolo caso all’esito di adeguata istruttoria” (Cassazione penale, sez. III, 5 aprile 2022, n. 12529).
Come osservato dalla Corte Costituzionale, la demolizione dell'immobile abusivo - con le sole deroghe previste dal richiamato comma 5 dell'art. 31 del Testo Unico Edilizia - rappresenta un principio fondamentale della materia «governo del territorio», che implica che “l'opera abusiva acquisita al patrimonio comunale debba, di regola, essere demolita e che possa essere conservata, in via eccezionale, soltanto se, con autonoma deliberazione del consiglio comunale relativa alla singola opera, si ritenga, sulla base di tutte le circostanze del caso, l'esistenza di uno specifico interesse pubblico alla conservazione della stessa e la prevalenza di questo sull'interesse pubblico al ripristino della conformità del territorio alla normativa urbanistico-edilizia, nonché l'assenza di un contrasto della conservazione dell'opera con rilevanti interessi urbanistici, ambientali o di rispetto dell'assetto idrogeologico” (Corte Costituzionale, 5 luglio 2018, n. 140, che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 2, comma 2, L.R. Campania n. 19/2017, per violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., nella parte in cui consentiva ai Comuni di regolamentare “la locazione e alienazione degli immobili acquisiti al patrimonio comunale per inottemperanza all’ordine di demolizione, anche con preferenza per gli occupanti per necessità al fine di garantire un alloggio adeguato alla composizione del relativo nucleo familiare”). Tanto in linea, peraltro, con le caratteristiche e la funzione della demolizione, che “ha ad oggetto esclusivamente la res abusiva; non consiste in una misura afflittiva volta a punire la condotta illecita bensì a ristabilire l'equilibrio urbanistico violato” (Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, sent. 17 ottobre 2017, n. 9).
Tali coordinate ermeneutiche hanno trovato di recente conferma nella sent. 11 ottobre 2023, n. 16 dell’Adunanza Plenaria, che ha statuito che “in alternativa alla demolizione del bene il Consiglio comunale può, ai sensi del secondo periodo del comma 5 dell'art. 31, deliberare il mantenimento in essere dell'immobile abusivo, che secondo l'insegnamento della Corte costituzionale (Corte cost., n. 140 del 2018) è una via del tutto eccezionale, che può essere percorsa per la presenza di prevalenti interessi pubblici e sempre che l'opera non contrasti con rilevanti interessi urbanistici, ambientali o di rispetto dell'assetto idrogeologico. In assenza di tale motivata determinazione del Consiglio comunale, va senz'altro disposta, ai sensi del primo periodo del comma 5, la materiale demolizione del bene abusivo… Salvo il caso eccezionale in cui l'Amministrazione ritenga di evitare la demolizione dell'immobile ormai entrato nel suo patrimonio per soddisfare interessi pubblici, l'esito finale ordinario dell'abuso edilizio è dunque costituito dalla demolizione del manufatto abusivo”.
Alla luce di quanto fin qui osservato, deve ritenersi illegittima l’inclusione nel piano di dismissione immobiliare del Comune di un immobile di proprietà dell’ente locale connotato da acclarati abusi edilizi non demoliti (cfr., in tal senso, TAR Campania, Salerno, sez. I, sent. 26 giugno 2024, n. 1404).