SCIA priva di autorizzazione paesaggistica: quali conseguenze?
Come è noto, per ius receptum, la disciplina urbanistica e quella paesaggistica si completano al fine di garantire una tutela integrata del territorio, ed il titolo paesaggistico è atto presupposto e necessario per il valido ed efficace rilascio del titolo edilizio
29 MAGGIO 2024
Di M. Petrulli
L’autonomia fra titolo edilizio e titolo paesaggistico
Come è noto, per ius receptum, la disciplina urbanistica e quella paesaggistica si completano al fine di garantire una tutela integrata del territorio, ed il titolo paesaggistico è atto presupposto e necessario per il valido ed efficace rilascio del titolo edilizio: a norma dell’art. 146, comma 4, del codice dei beni culturali e del paesaggio[1], l’autorizzazione paesaggistica costituisce, cioè, atto autonomo e presupposto rispetto al permesso di costruire[2] o agli altri titoli legittimanti l’intervento urbanistico-edilizio e dà luogo ad un rapporto di presupposizione necessitato e strumentale tra valutazioni paesistiche e valutazioni urbanistiche, con la conseguenza che:
Questi due apprezzamenti sono destinati ad esprimersi sullo stesso oggetto in stretta successione provvedimentale;
L’autorizzazione paesaggistica va acquisita prima di intraprendere il procedimento edilizio, il quale non può essere definito positivamente per l’interessato in assenza del previo conseguimento del titolo paesaggistico.
Scia in assenza di autorizzazione paesaggistica: scatta l’inefficacia
È noto, altresì, che la scia sia un atto soggettivamente e oggettivamente privato, che abilita all’esecuzione di determinate categorie di interventi edilizi, ferma restando, però, la necessaria sussistenza di tutti gli altri presupposti richiesti dalla normativa, soprattutto quelli richiesti a presidio di interessi particolarmente sensibili e rilevanti, in carenza dei quali la denuncia non può esplicare alcun effetto; con la conseguenza che:
Essa è inefficace, ove non accompagnata dalla prescritta autorizzazione paesaggistica, che ne costituisce appunto presupposto normativamente richiesto[3];
Quindi, le opere eseguite sulla base di scia inefficace (perché prive di autorizzazione paesaggistica) sono da considerarsi alla stregua di opere sine titulo[4].
Sempre secondo la giurisprudenza[5], qualsiasi intervento edilizio suscettibile di alterare l’assetto territoriale di un’area vincolata è sanzionabile in via demolitoria, ove non assistito dall’autorizzazione paesaggistica: l’art. 27, comma 2, del testo unico edilizia[6], laddove impone l’applicazione della misura repressivo-ripristinatoria a tutte le opere sine titulo (e, quindi, anche a quelle difettanti di scia) in aree sottoposte a vincolo paesaggistico[7], sancisce, infatti, il canone generale di indifferenza della richiesta tipologia di titolo abilitativo rispetto all’individuazione del regime sanzionatorio applicabile agli abusi edilizi commessi in zone vincolate[8].
Alla stregua delle coordinate ermeneutiche dianzi declinate, se non assistita dalla prescritta autorizzazione paesaggistica, la scia è da considerarsi in radice inefficace, ossia ‘tamquam non esset’, per non essersene perfezionato un indefettibile presupposto idoneativo; perciò, data l’inefficacia, le opere eseguite in base alla medesima sono da considerarsi prive di ‘copertura’ non solo paesaggistica, ma anche edilizia e risultano, quindi, sanzionabili in via demolitoria ai sensi dell’art. 27, comma 2, del testo unico edilizia.
L’inettitudine idoneativa della scia priva di autorizzazione paesaggistica pone, quindi, l’amministrazione nelle condizioni di esercitare legittimamente in via immediata e diretta, a prescindere dalla prodromica ricognizione di inefficacia, il potere sanzionatorio ex art. 27, comma 2, del testo unico edilizia in relazione alle opere eseguite in forza degli stessi, senza l’intermediazione delle forme e dei presupposti applicativi della funzione inibitoria e dell’autotutela decisoria, ossia senza dover rispettare il termine decadenziale dei 30 giorni previsto dall’art. 19, comma 6-bis[9], della legge n. 241/1990[10].
Ovviamente, trattandosi di interventi considerati abusivi, valgono le regole generali secondo cui, ai fini dell’adozione della sanzione demolitoria, non necessita una puntuale motivazione perché atto vincolato, né è richiesta una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico o una comparazione di questo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, non potendo ammettersi l’esistenza di alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva, che il tempo non può di per sé legittimare.
Note
[1] Decreto Legislativo n. 42/2004.
[2] TAR Calabria, Catanzaro, sez. II, sent. 8 marzo 2024, n. 353: “L’autorizzazione paesaggistica ed il titolo edilizio si giustappongono ed i rispettivi apprezzamenti rispondo ad interessi pubblici distinti e tipizzati: l’uno valuta, in forza d’apprezzamento tecnico discrezionale, la compatibilità paesaggistica dell’intervento edilizio proposto, mentre l’altro, con autonoma e specifica istruttoria, accerta la conformità urbanistico-edilizia del manufatto (Cons. Stato, Sez. VI, 20 gennaio 2023, n. 682). L’autorizzazione paesaggistica rappresenta un atto autonomo rispetto al permesso di costruire o agli altri titoli legittimanti l’intervento urbanistico-edilizio, in quanto i due atti sono posti a tutela di interessi pubblici diversi (Cons. Stato, Sez. VI, 3 maggio 2022, n. 3446)”; TAR Lombardia, Milano, sez. IV, sent. 20 dicembre 2023, n. 3131: “L’avvenuto rilascio dell’autorizzazione paesaggistica non esaurisce l’iter della pratica edificatoria, visto che è comunque necessario ottenere il titolo abilitativo anche da parte del Comune in cui deve essere effettuato l’intervento edilizio (cfr. artt. 13 e 27 del D.P.R. n. 380 del 2001). Difatti, l’autorizzazione paesaggistica e il permesso di costruire operano su piani differenti, sebbene integrati, e non è infrequente che tra la disciplina urbanistica e quella paesaggistica sussista un disallineamento che impedisce di ritenere sic et simpliciter che un intervento assentibile sotto il profilo urbanistico lo sia automaticamente anche sotto quello paesaggistico, e viceversa: del resto, secondo l’art. 146, comma 4, del D. Lgs. n. 42 del 2004 “l’autorizzazione paesaggistica costituisce atto autonomo e presupposto rispetto al permesso di costruire o agli altri titoli legittimanti l’intervento urbanistico-edilizio” (cfr., sul punto, Consiglio di Stato, VI, 3 maggio 2022, n. 3446; T.A.R. Campania, Napoli, VII, 6 febbraio 2023, n. 835; T.A.R. Lombardia, Milano, II, 11 marzo 2020, n. 471). È pacifico in giurisprudenza che “l’autorizzazione paesaggistica costituisce atto autonomo rispetto al permesso di costruire o agli altri titoli legittimanti l’intervento urbanistico-edilizio: i due atti di assenso, quello paesaggistico e quello edilizio, operano su piani diversi, essendo posti a tutela di interessi pubblici diversi, seppur parzialmente coincidenti. Ne deriva che il parametro di riferimento per la valutazione dell’aspetto paesaggistico non coincide con la disciplina urbanistico edilizia ma s’individua nella specifica disciplina dettata per lo specifico vincolo, poiché la valutazione di compatibilità paesaggistica è connaturata all’esistenza del vincolo paesaggistico ed è autonoma dalla pianificazione edilizia” (T.A.R. Lombardia, Milano, III, 4 gennaio 2023, n. 67; anche, Consiglio di Stato, VI, 3 maggio 2022, n. 3446; IV, 21 maggio 2021, n. 3952). Quindi la circostanza che sia stata rilasciata l’autorizzazione paesaggistica non rende illegittimo l’eventuale diniego comunale successivo”.
[3] TAR Lombardia, Milano, sez. II, sent. 9 luglio 2020, n. 1303; recentemente, TAR Campania, Salerno, sez. II, sent. 21 maggio 2024, n. 1105.
[4] Cfr. TAR Marche, sez. I, sent. 18 giugno 2016, n. 409.
[5] Cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, sent. 8 novembre 2021, n. 7426; sent. 21 febbraio 2023, n. 1766.
[6] DPR n. 380/2001.
[7] Cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, sent. 26 settembre 2018, n. 5524.
[8] Sul punto, cfr., ex multis, TAR Campania, Napoli, sez. VI, sent. 5 giugno 2012, n. 2644; sez. VI, sent. 15 novembre 2016, n. 5116; sez. III, sent. 20 febbraio 2018, n. 1093; Salerno, sez. II, sent. 11 dicembre 2018, n. 1789; TAR Lombardia, Brescia, sez. II, sent. 4 giugno 2018, n. 539.
[9] “Nei casi di Scia in materia edilizia, il termine di sessanta giorni di cui al primo periodo del comma 3 è ridotto a trenta giorni. Fatta salva l’applicazione delle disposizioni di cui al comma 4 e al comma 6, restano altresì ferme le disposizioni relative alla vigilanza sull’attività urbanistico-edilizia, alle responsabilità e alle sanzioni previste dal d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, e dalle leggi regionali.”
[10] Cfr. Consiglio di Stato, sez. II, sent. 15 dicembre 2020, n. 8032; TAR Lazio, Roma, sez. II-bis, sent. 24 luglio 2020, n. 8735 e sent. 28 gennaio 2022, n. 1006/2022; TAR Lombardia, Milano, sez. IV, sent. 27 giugno 2022, n. 1508.