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Pianificazione urbanistica e tutela affidamento dei privati, casi eccezionali

Il Tar Lombardia Milano, (Sez. IV), con la sentenza del 22 febbraio 2024 n. 492, affronta il tema della tutela dell’affidamento dei privati nell’ambito dell’esercizio dei poteri di pianificazione urbanistica, richiamando i principi cui la giurisprudenza amministrativa è uniformata

1 MARZO 2024

di V. Tarroni
 
Nota a: TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 22/2/2024 n. 492.
 
In materia di pianificazione urbanistica, la tutela dell’affidamento del privato è riservata a casi eccezionali.
 
Il Tar Lombardia Milano, (Sez. IV), con la sentenza del 22 febbraio 2024 n. 492, affronta il tema della tutela dell’affidamento dei privati nell’ambito dell’esercizio dei poteri di pianificazione urbanistica, richiamando i principi cui la giurisprudenza amministrativa è uniformata.
 
La pianificazione urbanistica
 
Per costante orientamento giurisprudenziale, in materia di pianificazione urbanistica, deve essere riconosciuta al Comune un’ampia discrezionalità, con la conseguenza che la posizione dei privati risulta recessiva rispetto alle determinazioni dell’Amministrazione, in quanto scelte di merito non sindacabili dal giudice amministrativo, salvo che non siano inficiate da arbitrarietà o irragionevolezza manifeste, ovvero da travisamento dei fatti in ordine alle esigenze che si intendono nel concreto soddisfare.
 
Si può derogare a tale regola solo in presenza di situazioni di affidamento qualificato dei privati a una specifica destinazione del suolo.[1]
 
Sempre in linea con la consolidata giurisprudenza, deve rilevarsi che, con riferimento all’esercizio dei poteri pianificatori urbanistici, la tutela dell’affidamento è riservata ai seguenti casi eccezionali:
 
I)                   superamento degli standard minimi di cui al d.m. 2 aprile 1968, con l’avvertenza che la motivazione ulteriore va riferita esclusivamente alle previsioni urbanistiche complessive di sovradimensionamento, indipendentemente dal riferimento alla destinazione di zona;
 
II)                pregresse convenzioni edificatorie già stipulate;
 
III)              giudicati (di annullamento di dinieghi edilizi o di silenzio rifiuto su domande di rilascio di titoli edilizi), recanti il riconoscimento del diritto di edificare;
 
IV)modificazione in zona agricola della destinazione di un’area limitata, interclusa da fondi edificati in modo non abusivo.[2]
 
In assenza di un affidamento qualificato, giuridicamente tutelato, in capo al privato, la potestà pianificatoria non è soggetta al principio del divieto di reformatio in peius, in quanto l’Amministrazione gode di un’ampia discrezionalità nell’effettuazione delle proprie scelte, che relega l’interesse degli amministrati alla conferma (o al miglioramento) della previgente disciplina a interesse di mero fatto, non tutelabile in sede giurisdizionale.[3]
 
Oltretutto, è ormai condiviso in giurisprudenza l’orientamento secondo il quale “… l’urbanistica, ed il correlativo esercizio del potere di pianificazione, non possono essere intesi, sul piano giuridico, solo come un coordinamento delle potenzialità edificatorie connesse al diritto di proprietà, così offrendone una visione affatto minimale, ma devono essere ricostruiti come intervento degli enti esponenziali sul proprio territorio, in funzione dello sviluppo complessivo ed armonico del medesimo. Uno sviluppo che tenga conto sia delle potenzialità edificatorie dei suoli - non in astratto, bensì in relazione alle effettive esigenze di abitazione della comunità ed alle concrete vocazioni dei luoghi -, sia di valori ambientali e paesaggistici, sia di esigenze di tutela della salute e quindi della vita salubre degli abitanti, sia delle esigenze economico - sociali della comunità radicata sul territorio, sia, in definitiva, del modello di sviluppo che si intende imprimere ai luoghi stessi, in considerazione della loro storia, tradizione, ubicazione e di una riflessione “de futuro” sulla propria stessa essenza, svolta - per autorappresentazione ed autodeterminazione - dalla comunità medesima, attraverso le decisioni dei propri organi elettivi e, prima ancora, attraverso la partecipazione dei cittadini al procedimento pianificatorio”[4]Sino al punto di ritenere legittima la scelta pianificatoria della c.d. “opzione zero” a seguito della quale lo strumento urbanistico non consente più, de futuro, l’ulteriore consumo di suolo”.
 
Note
 
[1] Consiglio di Stato, IV, 14 novembre 2023, n. 9758; IV, 21 agosto 2023, n. 7881; T.A.R. Lombardia, Milano, II, 11 luglio 2022, n. 1662; 25 gennaio 2022, n. 165; 12 marzo 2021, n. 653; 28 dicembre 2020, n. 2613.
 
[2](Consiglio di Stato, IV, 2 gennaio 2023, n. 21; anche, IV, 24 gennaio 2023, n. 765; II, 8 settembre 2021, n. 6234; T.A.R. Lombardia, Milano, IV, 5 dicembre 2023, n. 2951; altresì, Corte costituzionale, sentenza n. 179 del 2019.
 
[3] Consiglio di Stato, IV, 5 giugno 2023, n. 5464; IV, 20 aprile 2023, n. 4015; T.A.R. Lombardia, Milano, II, 25 gennaio 2022, n. 165; 14 dicembre 2020, n. 2492; 7 luglio 2020, n. 1291; 14 febbraio 2020, n. 309; II, 17 aprile 2019, n. 868; 27 febbraio 2018, n. 566; 15 dicembre 2017, n. 2393.
 
[4] così, Cons. Stato, sez. IV, 10 maggio 2012, n. 2710, §. 6.