5 AGOSTO 2019
L’Agenzia delle Entrate è ricorsa alla Cassazione in merito alle conclusioni cui era giunta la Commissione tributaria regionale, che confermava la decisione del Tribunale di primo grado, in merito alla natura risarcitoria e non retributiva dei mancati riposi monetizzati. La Corte di Cassazione con la sentenza 19713 del 22 luglio 2019 dà, invece, ragione all’Amministrazione finanziaria.
Le motivazioni del giudice di legittimità
Secondo la Cassazione il compenso riferito alla monetizzazione dei riposi non fruiti dal dipendente troverebbe la sua causa nel rapporto di lavoro. Infatti, l’art. 51 del TUIR contiene un elenco tassativo di specifiche tipologie di redditi che non concorrono alla formazione del reddito imponibile del lavoratore dipendente, ovvero vi concorrono solo in parte e, tra questi non sono ricomprese le indennità corrisposte a titolo di mancata fruizione di ferie e riposi. Infatti, l’indennità sostitutiva per ferie non godute, è da ritenere soggetta a tassazione a norma degli artt. 46 e 48 del d.P.R. n. 917 del 1986 (TUIR), sia perché, essendo in rapporto di corrispettività con le prestazioni lavorative effettuate nel periodo di tempo che avrebbe dovuto essere dedicato al riposo, ha carattere retributivo e gode della garanzia apprestata dall’art. 2126 cod. civ. in favore delle prestazioni effettuate con violazione delle norme poste a tutela del lavoratore; sia perché un eventuale suo concorrente profilo risarcitorio non ne escluderebbe la riconducibilità all’ampia nozione di retribuzione imponibile delineata dai citati articoli, costituendo essa comunque un’attribuzione patrimoniale riconosciuta a favore del lavoratore in dipendenza del rapporto di lavoro e non essendo ricompresa nell’elencazione tassativa delle erogazioni escluse dalla contribuzione.
Conclusioni
Il ricorso del contribuente, pertanto, deve essere respinto.