Il D.M. n. 1444/1968 disciplina le distanze minime tra edifici di nuova costruzione al fine di: evitare la formazione di intercapedini dannose, tutelare l’interesse pubblico all’ordinato sviluppo del territorio, evitare che l’eccessiva vicinanza tra edifici possa mettere a rischio la sicurezza statica degli stessi
15 FEBBRAIO 2023
di Valeria Tarroni
Il D.M. n. 1444/1968 disciplina le distanze minime tra edifici di nuova costruzione al fine di: evitare la formazione di intercapedini dannose, tutelare l’interesse pubblico all’ordinato sviluppo del territorio, evitare che l’eccessiva vicinanza tra edifici possa mettere a rischio la sicurezza statica degli stessi. Tale disciplina ha carattere precettivo ed inderogabile in quanto trae la propria fonte direttamente dalla legge primaria (art. 17 L. n. 765/1967).
L’articolo 873 del codice civile, sancisce che “le costruzioni su fondi finitimi, se non unite o aderenti, devono essere tenute a distanza non inferiore di tre metri. Nei regolamenti locali può essere stabilita una distanza maggiore”.
L’art. 2, comma 4, del D.P.R. 6 giugno 2001, n.380, stabilisce che i Comuni nell’ambito della propria autonomia normativa (di cui all’art. 3 del D.lgs 267/2000 - TUEL) disciplinano l’attività edilizia. Le disposizioni dei regolamenti edilizi e della pianificazione comunale che regolano le distanze che devono intercorrere tra le costruzioni, come distacco dal confine o in rapporto con l'altezza dei manufatti, in misura maggiore da quella stabilita dal codice civile, hanno carattere integrativo rispetto alla norma primaria, con la quale concorrono ad armonizzare e rafforzare l’interesse pubblico ad un ordinato assetto urbanistico ed a regolamentare i rapporti intersoggettivi di vicinato.
In caso di inosservanza delle disposizioni integrative del codice di civile in materia di distanze legali nei rapporti di vicinato, il danneggiato può chiedere la riduzione in pristino ai sensi dell’art. 872 codice civile. [1]
La risposta è negativa.
Il TAR Liguria, Sez. II, sentenza del 4/1/2023 n. 65, ha affermato che le norme comunali del Piano Regolatore Generale in materia di distanze minime dai confini, integrano le disposizioni stabilite dal codice civile e dall’art. 9 del decreto interministeriale 2 aprile 1968, n. 1444 ed hanno carattere assoluto ed inderogabile in quanto trascendono l’interesse meramente privatistico e mirano non solo a “regolare i rapporti di vicinato evitando intercapedini nocive [ma anche e soprattutto di] soddisfare esigenze più generali quali ad esempio l’assetto urbanistico di una certa zona assicurando comunque uno spazio libero tra le costruzioni”.
Stante le finalità perseguite dalle disposizioni adottate a livello locale (evitare intercapedini pericolose o dannose, tutelare l’assetto urbanistico di una determinata zona e la densità degli edifici) la giurisprudenza amministrativa ha affermato che sono invalide le convenzioni che mediante accordi tra privati mirano ad introdurre deroghe alle disposizioni regolamentari (urbanistiche) in materia di distanze minime delle costruzioni.[2].
In definitiva, anche a fronte di accordi pattizi col vicino che accetti una costruzione a distanza inferiore a quella minima dal confine stabilita alla disciplina urbanistico-edilizia comunale, è legittimo il diniego del Comune al rilascio di permesso di costruire ordinario o in sanatoria, per una costruzione che non rispetti le distanze stabilite dal proprio regolamento.
Il testo della sentenza TAR Liguria, Sez. II n. 65/2023 è visualizzabile sul sito: https://www.giustizia-amministrativa.it
Note
[1] La Cassazione, Sez. 2 Civile, sentenza n. 5142/2019 ha precisato che sono integrative del c.c. le disposizioni dei regolamenti edilizi locali relative alla determinazione della distanza tra i fabbricati in rapporto all’altezza e che regolino, con qualsiasi criterio o modalità, la misura dello spazio che deve essere osservato tra le costruzioni, mentre le norme che disciplinano solo l’altezza in sé degli edifici, senza nessuna relazione con le distanze intercorrenti tra gli stessi, proteggono, nell’ambito degli interessi privati, esclusivamente il valore economico della proprietà dei vicini. Ne consegue che, nel primo caso, sussiste, in favore del danneggiato, il diritto alla riduzione in pristino, nel secondo, invece, è ammessa unicamente la tutela risarcitoria.
[2] In tal senso TAR Abruzzo-L’Aquila, sentenza 543/2021, richiamata dal TAR Liguria.