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Diritto di accesso agli atti di un amministratore locale. Conflitto di interessi

27 APRILE 2022

Il servizio di consulenza della Regione Autonoma del Friuli Venezia Giulia ha risposto alla seguente domanda posta da un ente locale.

Il Comune, sentito anche per le vie brevi, chiede un parere relativo ad una richiesta di accesso agli atti avanzata da un consigliere comunale. Più in particolare, riferisce dell’esistenza di un contrasto tra privati cittadini frontisti, uno dei quali è parente in linea collaterale dell’amministratore locale, relativamente ad una questione che interessa la natura giuridica di una strada. Atteso che, in relazione alla vicenda in essere, stante l’avvenuto coinvolgimento dell’Amministrazione comunale, questa sta valutando di affidare un incarico ad un legale, e considerato che il consigliere ha inoltrato richiesta di accesso al fascicolo relativo alla pratica in riferimento, “in cui è contenuto l’avvio della procedura di affidamento di incarico legale”, il Comune desidera sapere se “i rapporti familiari possano costituire un limite all’interesse del munus pubblico” ai fini dell’ostensibilità dei documenti richiesti dall’amministratore locale.

Risulta nota la particolare ampiezza che caratterizza il diritto di accesso agli atti dei consiglieri comunali, il quale trova il proprio fondamento giuridico nell’articolo 43, comma 2, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 ai sensi del quale “i consiglieri comunali e provinciali hanno diritto di ottenere dagli uffici, rispettivamente, del comune e della provincia, nonché dalle loro aziende ed enti dipendenti, tutte le notizie e le informazioni in loro possesso, utili all’espletamento del proprio mandato. Essi sono tenuti al segreto nei casi specificamente determinati dalla legge.”[1]

Come già rilevato in diversi pareri rilasciati da questo Ufficio sull’argomento[2], la giurisprudenza ha costantemente sottolineato che, nel valutare se concedere l’accesso alle informazioni richieste dai consiglieri comunali, l’Amministrazione deve considerare l’esercizio, in tutte le sue potenziali esplicazioni, del munus di cui ciascuno di essi è individualmente investito, in quanto membro del consiglio.

Anche di recente è stato ribadito che: “Il diritto di accesso riconosciuto ai consiglieri comunali ha una ratio diversa da quella che contraddistingue il diritto di accesso ai documenti amministrativi riconosciuto alla generalità dei cittadini ovvero a chiunque sia portatore di un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso: infatti, mentre in linea generale il diritto di accesso è finalizzato a permettere ai singoli soggetti di conoscere atti e documenti per la tutela delle proprie posizioni soggettive eventualmente lese, quello riconosciuto ai consiglieri comunali è strettamente funzionale all’esercizio delle loro funzioni, alla verifica e al controllo del comportamento degli organi istituzionali decisionali dell’ente locale ai fini della tutela degli interessi pubblici (piuttosto che di quelli privati e personali) e si configura come peculiare espressione del principio democratico dell’autonomia locale e della rappresentanza esponenziale della collettività”[3].

Sul consigliere comunale non può gravare alcun onere di motivare le proprie richieste di informazione, né gli uffici comunali hanno titolo a richiedere le specifiche ragioni sottese all’istanza di accesso, né a compiere alcuna valutazione circa l’effettiva utilità della documentazione richiesta ai fini dell’esercizio del mandato[4].

Peraltro, il diritto di accesso spettante agli amministratori locali, pur essendo più ampio di quello riconosciuto alla generalità dei cittadini ai sensi del Capo V della legge 7 agosto 1990, n. 241, incontra il divieto di usare i documenti per fini privati o comunque diversi da quelli istituzionali, in quanto i dati acquisiti in virtù della carica ricoperta devono essere utilizzati esclusivamente per le finalità collegate all’esercizio del mandato (presentazione di mozioni, interpellanze, espletamento di attività di controllo politico-amministrativo ecc.). Il diritto di accesso, inoltre, non deve essere emulativo, in quanto riferito ad atti palesemente inutili ai fini dell’espletamento del mandato[5].

Premesso in generale quanto sopra, in relazione alla fattispecie in esame, si ritiene necessario porre particolare attenzione alla ratio che giustifica la particolare ampiezza del diritto di accesso riconosciuto ai consiglieri comunali, la quale “riposa nel principio democratico dell’autonomia locale e della rappresentanza esponenziale, sicché tale diritto è direttamente funzionale non tanto all’interesse del consigliere comunale ma alla cura dell’interesse pubblico connessa al mandato conferito, controllando il comportamento degli organi decisionali del Comune”[6].

La giurisprudenza, al riguardo, ha avuto modo di precisare che «il bisogno di conoscenza del titolare della carica elettiva debba porsi in rapporto di strumentalità con la funzione “di indirizzo e di controllo politico – amministrativo”, di cui nell’ordinamento dell’ente locale è collegialmente rivestito il consiglio comunale (art. 42, comma 1, t.u.e.l.), e alle prerogative attribuite singolarmente al componente dell’organo elettivo (art. 43). La strumentalità del diritto di accesso del consigliere comunale ora evidenziata è stata di recente ribadita da questa Sezione nel precedente di cui alla sentenza del 13 agosto 2020, n. 5032, […], laddove si è sottolineato che lo scopo del diritto di accesso del consigliere comunale è quello “di valutare – con piena cognizione – la correttezza e l’efficacia dell’operato dell’amministrazione, nonché per esprimere un voto consapevole sulle questioni di competenza del Consiglio e per promuovere tutte le iniziative che spettano ai singoli rappresentanti del corpo elettorale locale”»[7].

Ancora è stato affermato che il diritto di accesso “non attribuisce al singolo consigliere comunale un generale diritto di accesso in ragione del sol fatto di rivestire detta carica istituzionale, bensì, strumentalmente, lo riconnette all’esercizio delle sue funzioni all’interno dell’assemblea di cui fa parte. Detto in altri termini, non appare sufficiente rivestire la carica di consigliere per essere legittimati sic et simpliciter all’accesso, ma occorre dare atto che l’istanza muova da un’effettiva esigenza collegata all’esame di questioni proprie dell’assemblea consiliare. Del resto, la finalizzazione dell’accesso ai documenti in relazione all’espletamento del mandato costituisce il presupposto legittimante ma anche il limite dello stesso, configurandosi come funzionale allo svolgimento dei compiti del consigliere (Cons. Stato, V, 26 settembre 2000, n. 5109)”[8]. Altra giurisprudenza amministrativa, richiamando il Consiglio di Stato sopra riportato ha ulteriormente precisato che “l’istanza di accesso del consigliere comunale non può essere sorretta dalla sola allegazione della carica ricoperta ma deve, altresì, essere riconnessa ad un concreto esercizio delle prerogative consiliari […]”[9].

Con riferimento alla fattispecie in esame non può sottacersi il dubbio circa l’esistenza di una finalizzazione del diritto di accesso alle “esigenze del mandato”: si ribadisce, al riguardo, che l’accesso agli atti riconosciuto agli amministratori locali trova il proprio fondamento e limite nel fatto che esso pertenga all’attività istituzionale svolta, dovendosi ritenere inammissibili richieste di accesso agli atti dettate da interessi personali.

Pur riconoscendo che le pronunce giurisprudenziali in materia di accesso agli atti da parte degli amministratori locali fanno riferimento al termine “utili”, contemplato nel citato articolo 43 del D. Lgs. 267/2000, in maniera particolarmente estensiva, con lo scopo di non fare conseguire alcuna limitazione al diritto di accesso dei consiglieri comunali, “poiché tale aggettivo comporta in realtà l’estensione di tale diritto di accesso a qualsiasi atto ravvisato utile per l’esercizio delle funzioni”[10], al contempo non si può tralasciare il sospetto circa la natura personale e non istituzionale dell’interesse sotteso all’istanza proposta nonché la posizione di conflitto di interessi in cui parrebbe versare l’amministratore locale, atteso il vincolo di parentela che lo lega a uno dei privati cittadini coinvolti nella vicenda.

A tale ultimo riguardo si evidenzia come l’articolo 78 del D.Lgs. 267/2000, al comma 1, prevede che “il comportamento degli amministratori, nell’esercizio delle proprie funzioni, deve essere improntato all’imparzialità e al principio di buona amministrazione […]”. Trattasi di un principio generale di imparzialità[11] che verrebbe compromesso ogni qual volta un amministratore locale si trovi in posizione di conflitto di interessi. Anche se con riferimento all’obbligo di astensione dal prendere parte alle delibere comunali, sancito al successivo comma 2 dell’articolo 78 in commento, la giurisprudenza ha definito il concetto di conflitto di interessi, il quale «nei suoi termini essenziali valevoli per ciascun ramo del diritto, si individua nel contrasto tra due interessi facenti capo alla stessa persona, uno dei quali di tipo “istituzionale” ed un altro di tipo personale[12].». Con l’ulteriore precisazione che l’interesse può definirsi personale sia se riguardante in proprio il consigliere sia nel caso che inerisca a persone a lui legate da vincoli di parentela.

Concludendo, rientra nell’autonoma valutazione dell’Ente la decisione di concedere o meno l’accesso ai dati richiesti dal consigliere comunale, alla luce del quadro giuridico sopra delineato, nella consapevolezza che solo un giudice, eventualmente investito della questione, potrebbe esprimersi in merito alla specifica questione in essere, accogliendo o meno l’eventuale ricorso del consigliere che si vedesse negato l’accesso agli atti, richiesto in forza del disposto di cui all’articolo 43 TUEL.

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[1] Nello stesso senso depone l’articolo 16, comma 5, dello statuto comunale il quale recita: “Per l’esercizio delle proprie attribuzioni, ciascun Consigliere ha diritto di ottenere senza particolari formalità dagli uffici comunali dalle aziende e dagli enti dipendenti, copia di atti, notizie ed informazioni utili ai fini dell’espletamento del mandato.”. Inoltre, il regolamento sul funzionamento del consiglio comunale contiene una puntuale disciplina sul “diritto di visione dei provvedimenti” (articolo 11); sul “diritto d’informazione” (art. 12) e sul “diritto alla consultazione di atti” (art. 12 bis) dei consiglieri. Delle norme citate, quella maggiormente aderente alla fattispecie in esame potrebbe essere l’articolo 12 il quale recita:

“I Consiglieri comunali hanno diritto di avere dal Sindaco, dalla Giunta, dal Segretario Comunale e dai Dirigenti dei settori ed uffici comunali le informazioni necessarie all’esercizio del loro mandato.

A tal fine i predetti possono rivolgere richiesta d’informazione, verbalmente, ai soggetti indicati, al comma precedente i quali sono autorizzati, nell’ambito delle loro competenze, a fornire tutte le notizie ufficialmente a loro conoscenza su ciascuna pratica trattata per competenza dal loro Assessorato, settore od ufficio, salvo quelle per le quali ritengano sussistere speciali motivi di riservatezza, tali da giustificare l’obbligo del segreto d’ufficio anche verso i Consiglieri Comunali.

Omissis”.

[2] Così, pareri del 23 giugno 2021 (prot. n. 15034) e del 3 novembre 2020 (prot. n. 32153).

[3] T.A.R. Sicilia, Catania, sez. I, sentenza del 4 maggio 2020, n. 926.

[4] A tale riguardo il Ministero dell’Interno ha evidenziato che “Il consigliere comunale non deve motivare la propria richiesta di informazioni, poiché, diversamente opinando, la P.A. assumerebbe il ruolo di arbitro delle forme di esercizio delle potestà pubblicistiche dell’organo deputato all’individuazione ed al perseguimento dei fini collettivi. Conseguentemente, gli uffici comunali non hanno il potere di sindacare il nesso intercorrente tra l’oggetto delle richieste di informazioni avanzate da un Consigliere comunale e le modalità di esercizio del munus da questi espletato” (Ministero dell’Interno, parere del 18 maggio 2017).

[5] Tra le altre, T.A.R. Lombardia, Milano, sez. III, sentenza del 23 settembre 2014, n. 2363.

[6] G. Sola, “Il diritto di accesso del consigliere comunale e il vincolo al segreto d’ufficio”, 26 febbraio 2021, in federalismi.it

[7] Consiglio di Stato, sez. V, sentenza dell’11 marzo 2021, n. 2089. Nello stesso senso si veda, anche Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza del 22 giugno 2021, n. 4792.

[8] Consiglio di Stato, sez. V, sentenza del 2 gennaio 2019, n. 12.

[9] T.A.R. Emilia Romagna, Parma, sez. I, sentenza del 20 gennaio 2020, n. 16.

[10] Consiglio di Stato, sez. V, sentenza del 13 agosto 2020, n. 5032. Nello stesso senso si veda, anche, Consiglio di Stato, sez. V, sentenza del 2 marzo 2018, n. 1298 ove si afferma che «La locuzione aggettivale “utile”, contenuta nell’art. 43 del t.u.e.l., non vale ad escludere il carattere incondizionato del diritto (soggettivo pubblico) di accesso del consigliere, ma piuttosto comporta l’estensione di tale diritto a qualsiasi atto ravvisato “utile” per l’esercizio delle funzioni».

[11] In questo senso Consiglio di Stato, sez. II, sentenza del 10 settembre 2020, n. 5423.

[12] Consiglio di Stato, sentenza 5423/2020, citata in nota 11.